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CHI VINCE PERDE: IMPARZIALE COME UNA FALCE

In tutta onestà, sarei molto sorpresa se questo libro non avesse successo.

 

«Quindi siamo davanti a un capolavoro, scritto in maniera impeccabile?»
Ehm… no.

«Allora mi stai dicendo che è una di quelle manovre vomitevoli di marketing per cui un prodotto spazzatura viene spacciato per una perla rara?»
Ehm… nemmeno.

Sto dicendo che Falce di Neal Shusterman, nonostante abbia delle criticità (che comunque potrebbero anche essere giustificate nel proseguimento della storia – mi riservo il diritto di rimanere in bilico al riguardo finché non avrò modo di verificare), credo che potrebbe ridisegnare un nuovo immaginario collettivo, rimodellando il concetto di morte e immortalità – che orbita intorno a quello di morale – mantenendosi sempre in equilibro fra crudeltà e compassione.

Eh?!?

Ok, ok, ok. Rewind.

Torniamo indietro… sennò rischio di confondervi e basta.

Il concept alla base di Falce è fondamentale per capire il contesto in cui si muove la storia: è ambientata in un mondo che potrebbe essere il nostro – o uno molto simile – in cui l’umanità ha raggiunto il suo massimo sviluppo evolutivo in ogni settore.

La gente non muore più. Le malattie sono completamente svanite.
Non importa quanto male si facciano o quanti anni abbiano le persone, i naniti presenti nel loro sangue saranno in grado di rianimarle e rimetterle in sesto, e l’età potrà essere riprogrammata più e più volte.

Oltre a questo, non esistono nemmeno più i governi, la criminalità, le religioni, la fame e la povertà, perché sono stati tutti superati grazie al Thunderhead – l’intelligenza artificiale onnisciente che si è evoluta dal Cloud – e che provvede a ogni bisogno della razza umana in maniera impeccabile.
È incorruttibile, infallibile, savio, onnipresente, e gli uomini gli si affidano completamente.
D’altronde, perché non dovrebbero? In fin dei conti, fa tutto il loro bene, sempre.
E lo fa davvero.
Non come le intelligenze artificiali a cui siamo abituati e di cui diffidiamo, come ad esempio V.I.K.I. di Io, Robot o Ultron negli Avengers, per dirne un paio famose; capaci di piegare il concetto di protezione fino a raggiungere quello di soggiogamento.

No. Questo mondo DEVE tendere a essere idilliaco, se non perfetto.

È necessario per il meccanismo narrativo, perché il conflitto morale che si manifesta nella storia è tutto a misura d’uomo. Ed è aderente al suo concetto di vita e di morte, considerando che lui attraversa incolume il tempo.
In una gestione socio-politica imperfetta questa necessità non emergerebbe adeguatamente perché prevarrebbe la lotta all’oppressione. Quindi abbiamo bisogno che l’essere umano sia pienamente felice del mondo, e del modo, in cui vive.

Cooomunque, senza divagare, un mondo così sembra impeccabile. Giusto?

E quindi, l’effetto “cheppalle” è ha portata di mano… e invece no. Perché la magagna c’è.

Ovviamente.

Il Thunderhead sa che, per quanto possa trovare nuovi modi per gestire gli spazi e le risorse sul pianeta, dovrà fronteggiare, nel tempo, una crescita esponenziale della popolazione. E questo lo sanno anche gli uomini.

(Anche se il dubbio sul fatto che, avendo tempo e conoscenze illimitate, gli umani potrebbero colonizzare altri pianeti – o importare le materie che servono – rimane sempre in agguato. Nel libro si fa menzione al motivo dell’incapacità di lasciare il pianeta Terra per vivere altrove. Probabilmente più che l’incapacità di riuscirci, prevale la mancanza di voglia di farlo… ma sono cose che potrebbero essere affrontate nei volumi successivi; quindi, per ora le tengo in sospeso.)

Comunque, prendiamo per buono che si debba rimanere sulla Terra.

Per tenere sotto controllo la crescita demografica, qualche ramo va potato; per forza.

È per questo che è stata istituita la “Compagnia delle falci”. Un organo su cui il Thunderhead non ha alcuna giurisdizione, e che è composto da uomini e donne che si accollano la responsabilità di “spigolare” le vite immortali – per conferire una morte irreversibile – al fine di mantenere un equilibrio sostenibile per il pianeta.

Che strano verbo, vero? Spigolare.

Spigolare, già. Non uccidere, né mietere. Perché le falci non mietono “vittime”, e non si vestono mai neanche di nero.
Si premurano di raccogliere le vite altrui, invece, con dedizione, costanza e coscienza. Proprio come in antichità ai poveri veniva concesso di poter raccogliere le spighe di grano disperse e sfuggite alla mietitura, per sostentarsi.

«La prima forma di beneficenza.»

Affiancare una falce al concetto di spigolatura è un meccanismo che permette di non renderla una nemica, ma una persona che compie un gesto necessario per garantire la sopravvivenza altrui.
È vero che le falci non saranno mai immuni dall’incutere un timore reverenziale che sfocia nella paura, perché di fatto possono privare del bene più prezioso che l’essere umano ha conseguito: la possibilità di essere un dio. Ma d’altra parte vengono anche rispettate per ciò che fanno, perché è un male “minore e necessario” per garantire la prosperità di molti.

Per questo è importante che le falci operino sotto un regime di equità.

(Spigolando una certa quota di persone ogni anno, e in modo che venga mantenuto un equilibrio etnico.)
Seguendo un codice di dieci comandamenti, semplici e chiari.
E che sono questi, presi pari pari dal libro:

1-   Ucciderai
2-   Ucciderai senza discriminazione, senza fanatismo, e senza premeditazione,
3-   Concederai un anno di immunità ai familiari di coloro che accettano la tua venuta e a chiunque altro tu ritenga meritevole.
4-   Ucciderai i familiari di coloro che opporranno resistenza.
5-   Servirai l’umanità fino alla fine dei tuoi giorni e la tua famiglia riceverà l’immunità come ricompensa per tutto il tempo che vivrai.
6-   Condurrai una vita esemplare in parole e opere.
7-   Non ucciderai altra falce all’infuori di te.
8-   Non rivendicherai alcuna proprietà materiale all’infuori delle tue vesti, del tuo anello e del tuo diario.
9-   Non avrai né consorte né progenie.
10- Non avrai nessun’altra legge all’infuori di questa.

Suonano vagamente familiari… vero?

«Però c’è qualcosa che non torna, perché conferire all’uomo un compito così delicato? Se il Thunderhead è così magnanimo e super partes, non poteva farlo lui?»

Bella domanda.

La risposta è: no.

Il Thunderhead rappresenta la vittoria sulla fallibilità del Governo, perché «perdendo gli interessi personali, tutto va a beneficio dell’utilità»: è fondamentale per trasformare la legge in giustizia, ma togliere una vita è un atto che richiede coscienza e consapevolezza. Non può essere svuotato della sua gravità, per essere compiuto da un algoritmo privo di sentimenti.
Diverrebbe parte della “mietitura”: faccio crescere il grano, lo annaffio bene, lo proteggo dai parassiti, lo faccio maturare, lo taglio tutto, ooh! Guarda quanti semi ho ottenuto, ops! Mi sa che ne ho ottenuti un po’ troppi, ’sta parte non mi serve e la butto via.
Per la macchina, gli uomini comincerebbero ad avere la stessa valenza che hanno in Matrix. E questo non è un bene (agli occhi di chi dovrebbe fruire la storia) per tutto quello che abbiamo già visto sopra.
Il Thunderhead deve tenere alle persone che cura, e non può sbarazzarsene come se niente fosse.

Per questo, pur vedendo tutto, non ha potere sulla Compagnia delle falci.

E, per questo, il compito è demandato all’essere umano, che notoriamente è una fra le creature più buone, consapevoli e magnan… ehm, no, aspettate. C’è qualcosa che non torna, vero?

Già. Parrebbe.

Ed è il motivo per cui non tutti possono diventare falci. Infatti.
Anzi, possiamo dire che il paradosso delle falci si esprime proprio in questi termini:

«Coloro che vogliono ottenere l’incarico non devono averlo… e quelli che si rifiutano di uccidere sono gli unici adatti a esercitare il mestiere.»

Tac!
Se vuoi, non puoi; se non vuoi, ti tocca.

E io trovo che questa condizione sia densa di conforto e di conflitto morale contemporaneamente:

  • Di fatto, mettere in mano il potere a chi non lo vuole produrrà qualcuno che non lo piegherà a proprio vantaggio, ma che ne comprenderà l’onere più che l’onore; e lo saprà amministrare in modo meritevole.
  • Essere una falce diventa un giogo perpetuo. Una missione crudele. Una responsabilità che, se compiuta nel modo giusto, ti ucciderà un po’ a tua volta a ogni spigolatura che farai. Perché non importa quanti anni passerai sul pianeta a spigolare, lo farai al di là di un muro invisibile eretto dagli “altri”, concettualmente escluso seppur immerso fra loro; a fare tutti i giorni i conti con la tua coscienza sgualcita.
    Da solo. Morendo dentro una vita presa alla volta.
    Sarà una condanna a vivere da cui potrai liberarti solo autospigolandoti. Perché nessun’altra falce potrà spigolarti per darti sollievo.

«Sì, ok. Ma allora come si diventa una falce?»

È proprio qui che inizia la nostra storia: un ragazzo e una ragazza vengono scelti dal Venerando Maestro Faraday come apprendisti. Lui li metterà in competizione fra di loro, per contendersi l’investitura a falce che nessuno di loro vuole.
Rowan e Citra non hanno intenzione di uccidere, o di competere fra di loro, e questo li rende dei candidati ideali; ma entrambi hanno le loro motivazioni anche per scegliere SE accettare l’apprendistato.

Citra potrebbe acconsentire per un senso di protezione nei confronti di qualcuno che ama.
E Rowan potrebbe farlo perché non si è mai sentito veramente una parte fondamentale del mondo, e ha sperimentato cosa significhi essere isolati pur essendo in mezzo agli altri.

Il CONFLITTO basato sulla MORALE è l’asso nella manica di questa storia, e Citra e Rowan sono due facce della stessa medaglia.
Alleati seppur rivali.
Protagonisti seppur Antagonisti.
In una storia in cui il ruolo del Mentore è centrale, imponente. Capace di gravare su entrambi i piatti della bilancia allo stesso modo, e ridefinendo gli equilibri. E il concetto di utilità dell’esistenza stessa della bilancia.
O dell’uomo.

Perché, parliamoci chiaro: in un mondo perfetto, a cosa serve l’uomo?

Qual è il suo ruolo, in un ambiente in cui si è raggiunto l’apice dell’evoluzione?
Se non può più contribuire scoprendo cose utili a evolversi ulteriormente, a cosa serve?

Un mondo perfetto non ha bisogno di migliorare.

E questo assunto ci fa pensare.
Ci persuade a comprendere che possiamo tenerci strette le nostre imperfezioni, perché sono quelle che, in fondo, ci tengono ancora in movimento.
Un mondo perfetto è immobile.
Come un orologio che ticchetta sempre lo stesso secondo; si muove ma resta fermo. Infruttuoso.

Falce è una storia pregna di filosofia, ma non viene passata dall’autore direttamente al fruitore.

Non è una lezioncina dall’alto di uno scranno con la tastiera. No.
Sono i personaggi che esprimono il loro mondo interiore e che ne intridono le pagine.
Se si va oltre il velo delle parole scritte, ci porta a farci domande personali di cui potremmo non gradire le risposte, ma ponendoci anche davanti al fatto che la morte, per quanto cerchiamo di rifuggirla per noi e per i nostri cari, è il filo conduttore nascosto nella trama della vita.
Crea l’ispirazione a darle un senso, a non sprecarla. A combattere per lei.

La morte unisce le persone; e le avvicina nel loro dolore.
Un dolore che SERVE. Proprio come a Rowan e Citra.
Ci tiene in contatto con chi è già esistito, ma soprattutto ci permette di «godere della gioia di essere umani.»
Perché, se ti fa male al cuore, vuol dire che ne hai uno. Non provare niente sarebbe molto peggio. E non ci darebbe la possibilità di imparare a non sprecare ciò che si ha, perché tutto è limitato e circoscritto all’attimo fuggente in cui stiamo vivendo.
E lo so che sembra tutta retorica spicciola, ma non scherzavo quando dicevo che credo che questa storia potrebbe essere in grado di ridisegnare l’immaginario collettivo.

In sé ha tutti i requisiti per farlo.

In Falce, la morte cammina letteralmente a fianco della gente. «Presente nel mondo, ma tenuta in disparte.»

Invisibile dietro un muro invalicabile di paura e rispetto, eretto da coloro che la temono e la rifuggono, ma incensata dai ruffiani e gli ipocriti che vogliono sfruttarne i privilegi.

Neal Shusterman prende il lettore per mano, e lo conduce a sondare dentro le coscienze di tutti i personaggi, finché non si renderà conto che in realtà starà guardando anche dentro sé stesso. E lo staranno facendo anche i personaggi fra le pagine.
Ti mette in condizione di schierarti moralmente dalla parte più onorevole, per dimostrare che meriti il loro rispetto, perché è necessario «comprendere la natura della vita e che cosa significa essere umani, prima di essere incaricati in via definitiva di spigolare.»

Io credo che sia un bene che abbia per protagonisti dei personaggi adolescenti, e che sia pienamente fruibile anche da un target Young-Adult. Perché è proprio in quella fase che si rafforza l’idea dell’individuo che si vuole rivendicare al cospetto del mondo.
Per prendersi lo spazio che ci si merita di tracciare con il proprio percorso.

«(Come falci) Siamo al di sopra della legge, ma questo non significa che non la rispettiamo. La nostra posizione ci richiede un grado di moralità superiore al diritto. Dobbiamo tendere all’incorruttibilità e dobbiamo mettere in discussione le nostre motivazioni ogni giorno.»

Sono parole che hanno un peso tale da essere in grado di ispirare molte coscienze in formazione. E potremmo ritrovarci ad avere davvero, in futuro, un mondo migliore.

Perché «la gente crede a quello in cui vuole credere», e non sarebbe male se cominciasse a voler credere che ha la facoltà di poter apportare un contributo valido, riconoscibile e duraturo, con le proprie capacità e il proprio intelletto.

Per tutta la lettura ho pensato al fatto che fosse un soggetto perfetto per un film, e nei ringraziamenti del libro ho appurato che l’autore è già all’opera per poterlo adattare a una serie TV.
Se volete verificarlo in autonomia, non vi resta che aprire la prima pagina, ed essere pronti a guardare in faccia la morte, prima che decida se spigolarvi.

«Dimenticate tutto ciò che sapete delle falci. Abbandonate le vostre idee preconcette. La vostra formazione inizia oggi.»

Bene.
Rimanendo in tema formazione, passiamo a parlare di com’è scritto Falce. Visto che vi avevo promesso gioie e dolori…
Sono veramente tante le peculiarità positive al riguardo che vanno menzionate, ma non sono le uniche. Quindi togliamoci il dente e vediamole insieme prima dell’approfondimento.

IL MECCANISMO NARRATIVO

È interessante. La storia è strutturata in modo da avere due livelli di narrazione: uno che è relativo al presente tangibile ed esistente al momento della narrazione; e uno avulso, atemporale, preso dalle pagine dei Diari delle Spigolature di vari Venerandi Maestri.

Questa scelta è brillante per tre motivi:

  • Ci fornisce una chiave di lettura adeguata per codificare cosa fruiremo nella narrazione; quindi fa da SEMINA, o da RACCOLTA, a indizi utili a connettere il percorso logico che lega la narrazione.
  • Ci dà un’incursione psicologica nella coscienza di alcuni personaggi che poi incontreremo nell’arco della storia; fornendoci un’IRONIA DRAMMATICA utile ad apprezzare e capire gli avvenimenti e le scelte prese dai personaggi, e dando così uno spessore e una consistenza specifici alla storia che stiamo fruendo.
  • In ultimo, completa, e ci mette a conoscenza di, informazioni sulle falci (e sul mondo) che non potremmo avere solamente da Citra e Rowan che si stanno muovendo all’interno della storia; perché non sarebbero in linea con il loro PUNTO DI VISTA. (Tenete a mente questa parte, perché vale la pena di affrontarla, anche in virtù di una nota dolente trasposta nella narrazione.)

Quella che infatti, secondo me, presenta più criticità è la parte di narrazione del presente tangibile.

Abbiamo un NARRATORE ONNISCIENTE. Piuttosto INVADENTE. Che ci lascia diversi strascichi di commenti infodumposi, invece che lasciarci vivere in autonomia la storia, per poterci permettere di fare le nostre considerazioni.

Vi ho estrapolato un brano dalle primissime pagine, così lo vediamo insieme:

La falce arrivò sul tardi, in un freddo pomeriggio di novembre.
Al tavolo della sala da pranzo, Citra si lambiccava il cervello per cercare di risolvere un problema di algebra particolarmente difficile, scambiando le variabili, incapace di trovare il valore di X o Y, quando quella nuova variabile, ben più nefasta, entrò nell’equazione della sua vita.
L’appartamento dei Terranova accoglieva spesso degli ospiti. Così, quando il campanello suonò, non ci fu sorpresa, nessun presentimento, nessuna nube all’orizzonte, nulla che lasciasse presagire che la morte stava per presentarsi alla loro porta. Forse, l’universo avrebbe dovuto degnarsi di fornire un qualche preavviso, ma le falci non erano certo creature più sovrannaturali degli esattori erariali, nel grande disegno delle cose. Arrivavano, svolgevano il loro ingrato compito e sparivano.
Fu la signora Terranova che andò ad aprire al visitatore. Citra non lo vide subito, nascosto dalla porta aperta. Non le sfuggì, però, la reazione di sua madre, che si irrigidì come se di colpo il sangue le si fosse coagulato nelle vene. Se le avessero dato una spinta, sarebbe caduta a terra, frantumandosi in mille pezzi.
«Posso entrare, signora Terranova?»
Fu il tono a tradirlo. Squillante e inesorabile, simile al rintocco sordo di una campana, il cui tintinnio arrivava puntualmente alle orecchie di chi doveva sentirlo. Prima ancora di vederlo, Citra capì che era una falce. “Mio Dio! Una falce a casa nostra!”
«Sì, sì, certo, si accomodi.» La madre di Citra si fece da parte per lasciarlo passare, come se fosse lei l’ospite e non il contrario.
L’uomo superò la soglia a passi felpati. Le scarpe non facevano alcun rumore sul parquet. La veste color avorio di diversi strati in morbido lino, nonostante sfiorasse il pavimento, era immacolata. Una falce, a quanto ne sapeva Citra, poteva scegliere il colore della stoffa, a parte il nero, che era considerato inadeguato al suo compito. Il nero era assenza di luce, e le falci erano tutto il contrario. Luminose e illuminate, erano considerate il fior fiore dell’umanità, motivo per cui erano state scelte per svolgere quella mansione.
Alcune falci optavano per stoffe più vistose, altre per stoffe più tenui. Le loro vesti di un tessuto fluido e ricco, pesante e vaporoso al tempo stesso, ricordavano quelle degli angeli del Rinascimento. Lo stile unico dei loro indumenti, oltre al materiale e alla tinta, le rendeva facilmente riconoscibili in pubblico, per chi desiderava evitarle. Tanti, invece, ne erano attirati.
Il colore della veste spesso rivelava molto della personalità di una falce.
Quella del loro ospite era di una tinta gradevole, meno abbagliante del bianco puro. Questo dettaglio, tuttavia, non cambiava assolutamente il fatto che si trattava di una falce.
Fece scivolare il cappuccio all’indietro rivelando una testa di capelli grigi tagliati con cura, un viso cupo arrossato dal freddo e due occhi neri penetranti come lame. Citra si alzò. Non per rispetto, ma per paura. Per la sorpresa. Cercò di calmare il respiro che si era fatto affannoso. Di tenersi in piedi, nonostante le ginocchia minacciassero di cederle. Le gambe la tradivano, così contrasse con forza i muscoli per fermare il tremore.
Non sarebbe mai crollata davanti a quell’uomo, qualunque fosse il motivo della sua visita.
«Può chiudere la porta» disse l’ospite a sua madre, che obbedì, però Citra notò quanto le fu difficile. Fintanto che la porta restava aperta, una falce poteva sempre tornare sui suoi passi. Ma, una volta chiusa, era davvero, davvero lì dentro, in casa loro.
L’uomo si guardò intorno e vide subito Citra. Le fece un sorriso.
«Buonasera, Citra.» Il fatto che conoscesse il suo nome le gelò il sangue, così come sua madre si era pietrificata aprendo la porta.
«Non essere scortese» la riprese la madre, con eccessivo zelo. «Saluta il nostro ospite.»
«Buonasera, eccellenza.»
«Salve» esclamò stridulo Ben, il fratello più piccolo, facendo capolino dalla porta della sua camera, attirato dalla voce profonda e cavernosa dell’uomo. Spostava incuriosito lo sguardo da Citra alla madre, ponendosi la loro stessa domanda. “Per chi è venuto? Sarà passato per me? O dovrò sopravvivere alla perdita di una persona cara?”
«Ho sentito un profumo invitante nel corridoio» disse la falce, annusando l’aria. «Avevo ragione a credere che provenisse da questo appartamento.»
«Ho appena cucinato degli ziti, eccellenza. Niente di speciale.»
Fino a quel momento, Citra non aveva mai visto sua madre comportarsi con tanta timidezza.
«Ottimo» replicò la falce. «Perché non chiedo niente di speciale.» Si sedette sul divano e attese pazientemente che venisse servita la cena.
Era davvero venuto per cenare e basta? D’altronde, le falci dovevano pur mangiare, da qualche parte. Di solito, non veniva mai fatto pagare loro il conto al ristorante, ma questo non voleva dire che un buon pasto cucinato in casa non fosse preferibile. Correva voce che le falci chiedessero alle vittime di prepararne uno prima della spigolatura. Era questo che stava accadendo?
Qualunque fossero le sue intenzioni, se le tenne per sé, e loro non poterono fare altro che accoglierlo con tutti gli onori. “Risparmierà una vita se il cibo è di suo gradimento?” si chiedeva Citra. Non era certo una novità che le persone si facessero in quattro per accontentare una falce in ogni modo possibile. La speranza mescolata alla paura è la motivazione più potente del mondo.
Su sua richiesta, la madre di Citra gli portò da bere; si dava da fare affinché quella fosse la cena più raffinata che avesse mai servito. La cucina non era proprio nelle sue corde. In genere, tornava a casa dal lavoro appena in tempo per improvvisare una cena veloce per la famiglia. Quella sera, la loro vita dipendeva forse dalle sue discutibili doti culinarie.
E il padre? Sarebbe arrivato a casa in tempo oppure un componente della sua famiglia sarebbe stato spigolato in sua assenza?
Per quanto fosse terrorizzata, Citra non voleva lasciare la falce sola con i suoi pensieri. Così, l’accompagnò in soggiorno, e Ben, affascinato e spaventato allo stesso tempo, andò a sedersi accanto alla sorella.
«Sono il Venerando Maestro Faraday» si presentò infine l’uomo.
«Io… ehm… ho fatto un tema su Faraday a scuola, una volta» disse Ben, con voce tremula. «Ha scelto il nome di un grande scienziato.»
Maestro Faraday sorrise. «Mi piace pensare di aver scelto un patronimico storico appropriato. Come molti scienziati, Michael Faraday è stato sottovalutato in vita, eppure senza di lui il nostro mondo non sarebbe quello che è oggi.»
«Credo di averla nella mia collezione di carte di falci» proseguì Ben. «Ho quasi tutte le falci midmericane, solo che lei nella foto era più giovane.»
L’uomo era sulla sessantina e, nonostante i capelli grigi, il pizzetto era ancora brizzolato. Era raro che una persona accettasse di arrivare a quell’età senza prendere provvedimenti. Citra si domandava quanti anni avesse realmente.
E da quanto tempo gli fosse stata assegnata la missione di porre fine alla vita degli altri.
«Dimostra gli anni che ha davvero oppure è per scelta che sembra così vecchio?» chiese Citra.
«Citra!» esclamò la madre, che per poco non fece cadere il tegame che stava tirando fuori dal forno. «Non sono domande da farsi!»
«Mi piacciono le domande dirette» replicò la falce. «Mostrano franchezza di spirito, quindi risponderò con franchezza. Confesso di essermi ringiovanito per ben quattro volte. La mia età naturale è di circa centottant’anni, anche se non ricordo il numero esatto. Ultimamente, ho scelto questo aspetto venerando perché ho l’impressione che dia più conforto a coloro che spigolo.» Poi scoppiò a ridere. «Mi prendono per un saggio.»
«È per questo che è venuto qui?» chiese Ben d’istinto. «Per spigolare uno di noi?»
Maestro Faraday gli rivolse un sorriso indecifrabile.
«Sono venuto per cenare.»

La prima cosa che varrebbe davvero capire è CHI stia raccontando questa storia.

Ha una posizione così alta ed esterna, ma salta da un punto di vista all’altro indugiando sui pensieri e sulle considerazioni dei personaggi, che non mi stupirei se fosse il Thunderhead stesso a farlo.

È l’unica cosa che giustificherebbe tutta la libertà che si prende.

Vediamo se riesco a farvi capire cosa intendo.

Il PUNTO DI VISTA di questo spezzone privilegia Citra: il narratore segue l’avvenimento che si consuma in casa sua, perché è una dei protagonisti.
Vuole mostrarci come sia venuta in contatto con Maestro Faraday e perché questo sia importante. In più ci fornisce tutta una serie di informazioni di cui abbiamo bisogno e che ci aiutano a orientarci nel nuovo mondo in cui abbiamo messo piede.
Possiamo comprendere quale sia il ruolo della falce nel mondo, e la sua reputazione. Ci mostra da che parte pende il potere e l’equilibrio della subordinazione fra i personaggi, insieme al meccanismo di reverenza e rispetto che ci si aspetterebbe. Inoltre ci fornisce informazioni sulla notorietà di quella specifica falce che è il Maestro Faraday.

Quindi prendiamo come presupposto che stiamo nell’orbita di Citra e che il mondo sia filtrato orientativamente attraverso il suo PUNTO DI VISTA.

La falce arrivò sul tardi, in un freddo pomeriggio di novembre.
Al tavolo della sala da pranzo, Citra si lambiccava il cervello per cercare di risolvere un problema di algebra particolarmente difficile, scambiando le variabili, incapace di trovare il valore di X o Y, quando quella nuova variabile, ben più nefasta, entrò nell’equazione della sua vita.

“Quando quella nuova variabile, ben più nefasta, entrò nell’equazione della sua vita”: questa parte fa un improvviso zoom all’indietro e il narratore si intromette profetizzando anticipazioni, perché sa già tutto quello che avverrà.

In più, ci dà un assaggio generico di cosa stia facendo Citra, quando potrebbe fornirci informazioni più specifiche a farci capire su COSA si stia realmente scervellando. “Un problema di algebra particolarmente difficile” può voler dire un sacco di cose. Se gestito diversamente, sarebbe potuto essere un indizio interessante per capire l’età di Citra, per esempio.
Un’equazione di secondo grado sarebbe stata diversa da, che so, inoltrarsi fa limiti-logaritmi-e-altre-diavolerie-matematiche (non abbiatemene, ho fatto studi artistici…) che si affrontano alla fine del liceo o all’università. Avremmo avuto un indizio per inquadrare subito Citra, e dare un valore più specifico alla qualità (intesa come “tipo”) del FILTRO DEL PERSONAGGIO.
Questa genericità di informazioni si estende a moltissime cose che sono presenti nella narrazione.
E potenziarle avrebbe potuto fare una differenza notevole. Logicamente, in modo compatibile con il narratore che si sta utilizzando.

Noi continuiamo a prendere come buono che sia il Thunderhead a raccontare.

L’appartamento dei Terranova accoglieva spesso degli ospiti. Così, quando il campanello suonò, non ci fu sorpresa, nessun presentimento, nessuna nube all’orizzonte, nulla che lasciasse presagire che la morte stava per presentarsi alla loro porta. Forse, l’universo avrebbe dovuto degnarsi di fornire un qualche preavviso, ma le falci non erano certo creature più sovrannaturali degli esattori erariali, nel grande disegno delle cose. Arrivavano, svolgevano il loro ingrato compito e sparivano.

Questo pezzo è una filippica del NARRATORE INVADENTE. Sono le sue considerazioni per orientare il nostro giudizio su ciò che avviene e sulle reazioni dei personaggi. Dandoci la sua chiave di lettura sull’entità della figura della falce nella società.

Fu la signora Terranova che andò ad aprire al visitatore. Citra non lo vide subito, nascosto dalla porta aperta. Non le sfuggì, però, la reazione di sua madre, che si irrigidì come se di colpo il sangue le si fosse coagulato nelle vene. Se le avessero dato una spinta, sarebbe caduta a terra, frantumandosi in mille pezzi.
«Posso entrare, signora Terranova?»
Fu il tono a tradirlo. Squillante e inesorabile, simile al rintocco sordo di una campana, il cui tintinnio arrivava puntualmente alle orecchie di chi doveva sentirlo. Prima ancora di vederlo, Citra capì che era una falce. “Mio Dio! Una falce a casa nostra!”

In questo pezzo abbiamo la certezza che siamo nella testa di Citra, perché abbiamo l’espressione di un suo pensiero diretto.
Però la forma passiva della prima frase: “Fu la signora Terranova che andò ad aprire al visitatore”, ci dice di nuovo che fra narratore e personaggio c’è una distanza abissale e che il narratore ci tiene a rimarcarlo.

In più, il NARRATORE INVADENTE si prende la briga di pasticciare con le tempistiche, dandoci informazioni prima che Citra possa realmente fruirle. Se ci pensiamo bene, “prima ancora di vederlo” è una frase inutile, per esempio.
Sappiamo già da “fu il tono a tradirlo” che Citra ha già capito COSA sia, e sappiamo anche che ancora non l’ha visto, perché è nascosto dietro allo stipite della porta. Il pensiero diretto di Citra arriva in ritardo rispetto agli indizi che abbiamo già avuto, dilatando il tempo in maniera immotivata, per una reazione che di natura è tempestiva.
Azione-reazione. Parli, ti identifico perché metto subito insieme i pezzi che già ho, mi preoccupo.
Tirandola per le lunghe, si crea un effetto di falsa suspense che non si sposa bene con le tempistiche delle azioni menzionate.
Fare caso a certi particolari avrebbe giovato tantissimo.

«Sì, sì, certo, si accomodi.» La madre di Citra si fece da parte per lasciarlo passare, come se fosse lei l’ospite e non il contrario.
L’uomo superò la soglia a passi felpati. Le scarpe non facevano alcun rumore sul parquet. La veste color avorio di diversi strati in morbido lino, nonostante sfiorasse il pavimento, era immacolata. Una falce, a quanto ne sapeva Citra, poteva scegliere il colore della stoffa, a parte il nero, che era considerato inadeguato al suo compito. Il nero era assenza di luce, e le falci erano tutto il contrario. Luminose e illuminate, erano considerate il fior fiore dell’umanità, motivo per cui erano state scelte per svolgere quella mansione.

“Il nero era assenza di luce, e le falci erano tutto il contrario. Luminose e illuminate, erano considerate il fior fiore dell’umanità, motivo per cui erano state scelte per svolgere quella mansione.” Il commento infodumposo ci dice di nuovo che non è realmente lei a filtrare la scena. Perché il narratore ci tiene a fornirci delle informazioni accessorie che avremmo potuto ottenere tranquillamente se fossero state disseminate in modo naturale lungo la narrazione. Invece, qui, ci tiene particolarmente a darci un’idea della falce che sia diametralmente opposta a quella che abbiamo convenzionalmente NOI, nella NOSTRA cultura.
Concettualmente, non è sbagliato in sé: infatti è NECESSARIO che la nostra ottica venga focalizzata sul modo GIUSTO e ADEGUATO di considerare le falci.

È che questo è un modo sbrigativo di farlo.

Alcune falci optavano per stoffe più vistose, altre per stoffe più tenui. Le loro vesti di un tessuto fluido e ricco, pesante e vaporoso al tempo stesso, ricordavano quelle degli angeli del Rinascimento. Lo stile unico dei loro indumenti, oltre al materiale e alla tinta, le rendeva facilmente riconoscibili in pubblico, per chi desiderava evitarle. Tanti, invece, ne erano attirati.
Il colore della veste spesso rivelava molto della personalità di una falce.

Tutto questo pezzo è proprio INFODUMP. Il narratore mi sta spiegando per filo e per segno i perché e i percome le falci si vestano.
Ok, può essere utile a costruire il SENSE OF WONDER, ma si poteva fare affidamento sull’INCLUING per dare questo tipo di informazioni e renderle integrate nel WORLDBUILDING della storia.
Questo spezzone ci allontana notevolmente dal punto di vista di Citra, intorno al quale stiamo orbitando. Perché per lei questi particolari oramai sono familiari e non dovrebbe neanche prenderli in considerazione, perché sono integrati nel suo modo di fruire il mondo. Queste informazioni sono chiaramente SOLO a beneficio del fruitore.

Quella del loro ospite era di una tinta gradevole, meno abbagliante del bianco puro. Questo dettaglio, tuttavia, non cambiava assolutamente il fatto che si trattava di una falce.
Fece scivolare il cappuccio all’indietro rivelando una testa di capelli grigi tagliati con cura, un viso cupo arrossato dal freddo e due occhi neri penetranti come lame. Citra si alzò. Non per rispetto, ma per paura. Per la sorpresa. Cercò di calmare il respiro che si era fatto affannoso. Di tenersi in piedi, nonostante le ginocchia minacciassero di cederle. Le gambe la tradivano, così contrasse con forza i muscoli per fermare il tremore.
Non sarebbe mai crollata davanti a quell’uomo, qualunque fosse il motivo della sua visita.
«Può chiudere la porta» disse l’ospite a sua madre, che obbedì, però Citra notò quanto le fu difficile. Fintanto che la porta restava aperta, una falce poteva sempre tornare sui suoi passi. Ma, una volta chiusa, era davvero, davvero lì dentro, in casa loro.
L’uomo si guardò intorno e vide subito Citra. Le fece un sorriso.
«Buonasera, Citra.» Il fatto che conoscesse il suo nome le gelò il sangue, così come sua madre si era pietrificata aprendo la porta.

“«Può chiudere la porta» disse l’ospite a sua madre”: qui abbiamo un DIALOGUE TAG (o un SINTAGMA DI LEGAMENTO se preferite dirlo all’italiana) che può essere facilmente sostituito prediligendo un gesto o un atteggiamento della falce. Cioè mettendo un BEAT (un INTERCALATO FUNZIONALE) che identifichi l’attribuzione della battuta. Esattamente come avviene sulla battuta successiva, che si sofferma su ciò che prova Citra dopo essere stata salutata, valutando le implicazioni del fatto che la falce sappia il suo nome.

«Non essere scortese» la riprese la madre, con eccessivo zelo. «Saluta il nostro ospite.»
«Buonasera, eccellenza.»
«Salve» esclamò stridulo Ben, il fratello più piccolo, facendo capolino dalla porta della sua camera, attirato dalla voce profonda e cavernosa dell’uomo. Spostava incuriosito lo sguardo da Citra alla madre, ponendosi la loro stessa domanda. “Per chi è venuto? Sarà passato per me? O dovrò sopravvivere alla perdita di una persona cara?”

Qui abbiamo un drastico allontanamento dall’orbita del nostro PUNTO DI VISTA.
Adesso abbiamo un pensiero diretto di Ben preceduto dalla considerazione del narratore che ci introduce la motivazione dei suoi gesti, “Spostava incuriosito lo sguardo da Citra alla madre, ponendosi la loro stessa domanda. “Per chi è venuto? Sarà passato per me? O dovrò sopravvivere alla perdita di una persona cara?”” che però cozza con la sensazione precedente che stessimo filtrando la scena attraverso Citra.

Il punto di vista non è stabile e questa ne è la prova.

«Ho sentito un profumo invitante nel corridoio» disse la falce, annusando l’aria. «Avevo ragione a credere che provenisse da questo appartamento.»
«Ho appena cucinato degli ziti, eccellenza. Niente di speciale.»
Fino a quel momento, Citra non aveva mai visto sua madre comportarsi con tanta timidezza.
«Ottimo» replicò la falce. «Perché non chiedo niente di speciale.» Si sedette sul divano e attese pazientemente che venisse servita la cena.
Era davvero venuto per cenare e basta? D’altronde, le falci dovevano pur mangiare, da qualche parte. Di solito, non veniva mai fatto pagare loro il conto al ristorante, ma questo non voleva dire che un buon pasto cucinato in casa non fosse preferibile. Correva voce che le falci chiedessero alle vittime di prepararne uno prima della spigolatura. Era questo che stava accadendo?
Qualunque fossero le sue intenzioni, se le tenne per sé, e loro non poterono fare altro che accoglierlo con tutti gli onori. “Risparmierà una vita se il cibo è di suo gradimento?” si chiedeva Citra. Non era certo una novità che le persone si facessero in quattro per accontentare una falce in ogni modo possibile. La speranza mescolata alla paura è la motivazione più potente del mondo.

Qui abbiamo il DIALOGUE TAG abbinato al pensiero di Citra. Più una considerazione del narratore che però si cerca di camuffare nel commento che potrebbe appartenere a Citra riguardo alla ruffianeria.
Tendenzialmente non ha molto senso rimarcare qualcosa che è già ovvio di per sé.
Se so che i pensieri diretti stanno fra le virgolette, per me è sufficiente a identificare che quelli siano tutti pensieri. Non c’è bisogno di ribadirlo, quando me l’hai già mostrato.
Il punto è che l’autore ha messo il DIALOGUE TAG sul pensiero perché prima ci ha fornito un pensiero che non era di Citra. E quindi lo fa per disambiguare l’appartenenza. Un PUNTO DI VISTA saldo avrebbe annullato direttamente la possibile evenienza.

Su sua richiesta, la madre di Citra gli portò da bere; si dava da fare affinché quella fosse la cena più raffinata che avesse mai servito. La cucina non era proprio nelle sue corde. In genere, tornava a casa dal lavoro appena in tempo per improvvisare una cena veloce per la famiglia. Quella sera, la loro vita dipendeva forse dalle sue discutibili doti culinarie.
E il padre? Sarebbe arrivato a casa in tempo oppure un componente della sua famiglia sarebbe stato spigolato in sua assenza?
Per quanto fosse terrorizzata, Citra non voleva lasciare la falce sola con i suoi pensieri. Così, l’accompagnò in soggiorno, e Ben, affascinato e spaventato allo stesso tempo, andò a sedersi accanto alla sorella.
«Sono il Venerando Maestro Faraday» si presentò infine l’uomo.
«Io… ehm… ho fatto un tema su Faraday a scuola, una volta» disse Ben, con voce tremula. «Ha scelto il nome di un grande scienziato.»
Maestro Faraday sorrise. «Mi piace pensare di aver scelto un patronimico storico appropriato. Come molti scienziati, Michael Faraday è stato sottovalutato in vita, eppure senza di lui il nostro mondo non sarebbe quello che è oggi.»
«Credo di averla nella mia collezione di carte di falci» proseguì Ben. «Ho quasi tutte le falci midmericane, solo che lei nella foto era più giovane.»

Dal dialogo, a parte la cascata di DIALOGUE TAG che ci sono, emergono delle informazioni interessanti, in modo naturale:

  • Siamo nel Midmerica, e quindi questo non è esattamente il nostro mondo, ma qualcosa che ci si avvicina un bel po’, almeno per conformazione;
  • Le falci scelgono un patronimico storico quando vengono investite, e questo in particolar modo ci dice qualcosa del personaggio, perché motiva la scelta che l’ha spinto a farlo;
  • Le falci hanno un ruolo di rilevanza e una fama tale che i bambini ne collezionano le carte.

Se queste informazioni sono state inserite in modo così organico, significa che si può fare anche con le altre che si vogliono inserire, facendoci più attenzione.

L’uomo era sulla sessantina e, nonostante i capelli grigi, il pizzetto era ancora brizzolato. Era raro che una persona accettasse di arrivare a quell’età senza prendere provvedimenti. Citra si domandava quanti anni avesse realmente. E da quanto tempo gli fosse stata assegnata la missione di porre fine alla vita degli altri.
«Dimostra gli anni che ha davvero oppure è per scelta che sembra così vecchio?» chiese Citra.
«Citra!» esclamò la madre, che per poco non fece cadere il tegame che stava tirando fuori dal forno. «Non sono domande da farsi!»
«Mi piacciono le domande dirette» replicò la falce. «Mostrano franchezza di spirito, quindi risponderò con franchezza. Confesso di essermi ringiovanito per ben quattro volte. La mia età naturale è di circa centottant’anni, anche se non ricordo il numero esatto. Ultimamente, ho scelto questo aspetto venerando perché ho l’impressione che dia più conforto a coloro che spigolo.» Poi scoppiò a ridere. «Mi prendono per un saggio.»
«È per questo che è venuto qui?» chiese Ben d’istinto. «Per spigolare uno di noi?»
Maestro Faraday gli rivolse un sorriso indecifrabile.
«Sono venuto per cenare.»

Attraverso il dialogo abbiamo l’indizio che la gente è molto longeva in quel mondo; scopriamo che è possibile riprogrammare la propria età per impostarne una apparente da cui ripartire a “invecchiare”.

Spiace un po’ che alcune informazioni vengano gettate in pasto al lettore con meno cura, quando in altri punti è chiaramente possibile inserirle in modo che si integrino perfettamente nelle interazioni fra i personaggi.

Analizzando il brano, si potrebbe andare ancora moltissimo nello specifico, per potenziare la narrazione: si potrebbe parlare di come il NARRATORE INVADENTE, impostando e gestendo l’ordine con cui il lettore deve fruire gli avvenimenti, si appoggi molto a gerundi e avverbi che risultano superflui.
Ma quello che invece mi preme di dire è che esiste una differenza percepibile fra la narrazione del presente tangibile e quella delle pagine dei diari.

I DIARI DELLE SPIGOLATURE hanno tutti una voce confidenziale. Distinguibile da persona a persona che lo stila. Tanto che, man mano che si va avanti nella narrazione si riesce a capire chi abbia scritto quella pagina, ancor prima che si possa vedere la firma in calce.
E questo è sicuramente un pregio, perché significa che l’autore è riuscito a costruire diversi AUTORI IMPLICITI credibili, dando loro una voce riconoscibile.

Il diario in sé, poi, come forma di narrazione, ha la libertà di poterci fare indugiare sui pensieri, le considerazioni personali e le informazioni sui (e in possesso dei) personaggi perché ha la connotazione di uno scritto privato, di un flusso di coscienza redatto, e quindi possiamo essere più indulgenti. Soprattutto perché la sua funzione è quella di darci uno scorcio della “visione” e della natura di colui che ha scritto quelle parole; ma che poi risulta anche utilissimo per svelare delle informazioni che, giustamente, i personaggi danno per scontate, e che il lettore ha bisogno di conoscere.

Vi faccio un esempio con questo pezzo che viene dalla narrazione:

A parte il fatto che avevano entrambi sedici anni, avevano ben poco in comune. Lei veniva dalla città, lui dalla periferia. La famiglia di lei era piccola, quella di lui numerosa. Quanto alle professioni dei loro genitori, non potevano essere più distanti.
«Qual è il tuo indice genetico?» le chiese. Era una domanda molto personale, ma forse poteva avere una certa rilevanza.
«22-37-12-14-15.»
Rowan abbozzò un sorriso. «37% di origine africana. Buon per te! È piuttosto alto!»
«Grazie.»
Le disse il suo: 33-13-12-22-20. Citra pensò di chiedergli se conoscesse l’indice secondario del suo componente “altro”, perché 20% era abbastanza alto ma, se non lo sapeva, la domanda lo avrebbe imbarazzato.
«Siamo entrambi per il 12% di stirpe panasiatica» fece notare lui. «Pensi che questo c’entri con la nostra presenza qui?» Si stava arrampicando sugli specchi. Non era nient’altro che una semplice coincidenza.

A parte il chiederci che aspetto abbiano i due ragazzi in relazione al loro indice genetico – e l’essere curiosi sul perché Rowan ritenga che sia una fortuna avere un’alta componente di origine africana (chissà quali risvolti culturali, sociali e storici si celano dietro quell’affermazione, in quel mondo) – trovarci davanti a un indice genetico per noi è qualcosa di nuovo.
Non abbiamo idea di cosa sia, nel nostro mondo le persone non conoscono il loro “indice genetico” a memoria, come se fosse il loro codice fiscale. È un elemento che ci incuriosisce seriamente e di cui vorremmo saperne di più. Certo, possiamo intuire di cosa stiano parlando attraverso gli indizi che ci arrivano dalla loro interazione. Ma non possiamo fare a meno di chiederci quali siano le altre voci dell’indice.
Se quelle informazioni ce le fornissero Citra e Rowan, saremmo preda di INFODUMP fastidiosi, ma l’autore ha trovato uno stratagemma interessante per darci le informazioni mancanti ed elargirci la possibilità di costruirci un’IRONIA DRAMMATICA adeguata al riguardo, mentre sembra parlare in realtà di tutt’altro.

Alla fine del capitolo abbiamo questa pagina di diario:

Oggi, ho superato la mia verifica culturale. Ne abbiamo solo una all’anno, ma ogni volta non è meno stressante. Quest’anno, quando hanno redatto la lista degli indici culturali di quelli
che ho spigolato negli ultimi dodici mesi, sono rientrata ampiamente, per fortuna, nei parametri consentiti:
20% Caucasoide
18% Africano
20% Panasiatico
19% Mesolatino
23% Altro
A volte, è difficile da conoscere. L’indice di una persona è riservato, per cui dobbiamo basarci solo sui tratti fisici, che sono meno evidenti rispetto alle generazioni passate. Quando i valori sono sbilanciati, le falci vengono sanzionate dalla Suprema Roncola, e si vedono assegnare le spigolature per l’anno successivo, invece di essere lasciate libere di scegliersi le vittime.
È un segno di disonore.
L’indice dovrebbe impedire ogni discriminazione culturale e genetica, ma non esistono forse dei fattori soggiacenti ai quali non possiamo sfuggire? Per esempio, chi ha deciso che il primo numero di un indice genetico di una persona debba essere la percentuale caucasoide?

Dal diario delle spigolature della Veneranda Madame Curie

Capite la differenza e il meccanismo con cui ci è stato passato ciò che ci serviva?

Madame Curie parla della sua verifica sulla spigolatura e nel frattempo ci fornisce l’informazione di cui avevamo bisogno. In modo naturale. Perché nel suo diario è plausibile che ne parli, anche in funzione del fatto che deve tenere memoria di quello che pensa e delle sue considerazioni al riguardo. In più, domandandosi se poi la millantata ricerca di equità lo sia veramente, visto l’ordine con cui vengono elencati gli elementi dell’indice genetico, inserisce il dubbio concettuale sulla presunta equità.

Questi particolari di camuffamento delle informazioni sono alla base dell’INCLUING che, di fatto, è il contrario dell’INFODUMPING.
Si possono inserire una MAREA di informazioni in un libro, è il modo in cui lo si fa che fa sempre la differenza. E storie come questa, in cui la componente ucronica è molto marcata, o anche storie fantasy e fantascientifiche, richiedono quello sforzo in più agli autori perché riescano a fare combiaciare i pezzi senza forzare la mano, e senza ricorrere allo spiegone.

L’equilibrio delle informazioni è fondamentale.

E questo meccanismo narrativo risulta una buona arma per assecondarne la necessità. L’alternanza di questi spezzoni storia-diario ci permette di sondare più di un Maestro e assorbire le sfumature psicologiche, e concettuali, che i membri maturano e manifestano all’interno della Compagnia, nonostante i comandamenti siano semplici; anzi proprio in virtù del fatto che siano così semplici e “interpretabili”.
In bene o in male.

Perché ognuna delle falci poi trova il proprio modo di spigolare e costruire i propri modi per calzare più o meno rigidamente quei precetti.
E questo significa che potrebbe trovare il modo di aggirarli, fino anche a manipolarli.

«Sono tutte buone, le falci?»

Beh, questo vi toccherà scoprirlo da soli…

APPROFONDIMENTO

Oramai è prassi che dopo la prima parte delle non-recensioni, ce ne sia una dedicata all’approfondimento. Non mi esimerò nemmeno stavolta ma, visto che il libro non è ancora uscito (uscirà domani, 19 Maggio 2020), mi sembra controproducente inserire la parte di approfondimento, adesso.
Perché ovviamente è suscettibile di spoiler (che verranno comunque segnalati prima di essere dati).

Quindi aspetterò un po’ prima di editare l’articolo e inserire il link all’articolo con l’analisi aggiuntiva.
Chi non vorrà rovinarsi la lettura potrà fermarsi qui.
Chi vorrà proseguire potrà farlo, ben sapendo cosa lo aspetta, magari tornando sull’articolo una volta letta la storia.

#ÈTempoDiSpigolare

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