DETTAGLI SÌ, DETTAGLI NO?
Come scegliete COSA sia importante mettere nelle scene che ambientate nelle vostre storie?
Rispondere “a caso” sarebbe molto divertente e in alcuni casi pure vero, ma facciamo finta che non sia così.
Facciamo finta che esista davvero un criterio in base al quale scegliere (visto che è così), e per farlo vi porto da Mediaworld, o in un qualsiasi altro negozio di computer.
Allora, che computer vi serve? E quanto ve ne intendete?
Lo so, sembra sempre che vi stia prendendo per il culo, ma provate a fidarvi.
Vi dico che computer serve a me: mi serve un computer potente, con uno schermo grande, perché mi interessa disegnarci con la tavoletta grafica.
Dove si ferma la mia conoscenza al riguardo?
Proprio qui, esattamente sul punto della frase precedente.
Così, mi fiondo in negozio con il portafogli gonfio di desiderio e voglia di povertà, e mi faccio consigliare.
Ci credete se vi dico che perfino i venditori che trovate in un negozio studiano per diventare più professionali? Beh, di base dovrebbe essere così, non lo fanno per incul… carvi che dovete spendere, ma per riuscire ad entrare in EMPATIA con voi, in modo da offrirvi un servizio SU MISURA con ciò che voi rappresentate.
Torniamo al mio commesso di computer:
- prendo il numero;
- ci faccio un aeroplanino di carta mentre osservo la schiera di Nerd che mi precedono frantumargli gli zebedei parlando in codice binario di questioni incomprensibili per una semplice mente umana come la mia;
- faccio finta di essere interessata a tutti i cavetti che sono esposti e di cui non comprendo nemmeno il più infimo utilizzo;
- e attendo che scocchi la mia sacra ora per pronunciare a testa alta, e petto in fuori, la fatidica frase: «Ciao. Voglio comprare un computer!»
«Ok, che computer vuoi?»
«Ma che vuoi che ne sappia io, amico-dei-nerd-che-parlano-linguaggi-alieni. Non lo vedi che sono estranea al vostro universo parallelo di tecnologia incomprensibile?»
«Ok, a cosa ti serve?»
Ecco, a questa domanda so rispondere. E rispondo alla stessa maniera in cui ho risposto prima.
(Occhio! Questo è il bivio in cui capite quali siano i dettagli che servono).
Abbiamo due opzioni, come in ogni gioco di ruolo che si rispetti:
- Parte dal primo computer della fila: «Questo è il modello C3PO, ha 18293782787 di giga, un Hard Disk /£/$(/”%& con processore come se fosse antani, per supportare una scheda video £/(/($) da =())/&, ma soprattutto *inserire sequenza a caso di minuziose caratteristiche*». Concluso con quello, passa al secondo e poi al terzo, e poi al quarto… fino a che io non muoio disidratata sulla moquette del negozio, contorcendomi agonizzante. I soldi rimangono nel mio portafogli.
- Sceglie accuratamente cosa dirmi in base alle esigenze che gli ho spiegato: «Per fare ciò che vuoi, ti serve un computer che abbia almeno un processore I5, ma meglio I7, in modo da sostenere i programmi di grafica che sono molto pesanti, ti consiglio di andare su un computer da gamer, perché hanno anche una scheda video importante e blablabla (ma almeno comprensibile rispetto a prima)».
Avete capito cosa ha fatto?
Non mi ha fatto specificatamente l’elenco di tutto ciò che è presente, computer per computer, ma ha scelto, rielaborando nella sua testa, quali informazioni darmi, in base ai criteri che IO gli avevo fornito, per riuscire a creare anche nella mia testa l’idea che QUEL computer è giusto per me.
Io spendo i miei soldi e posso disegnare felice ( ma sono anche sensibilmente più povera).
Come si applica questo allo scrivere?
Essendo consapevoli che non tutti i dettagli sono necessari, ma solo quelli necessari lo sono.
Sì, lo so. Sembra una supercazzola.
Diciamo che non serve dilungarsi troppo in descrizioni minuziose che poi non hanno alcuna valenza all’interno della storia stessa, ma serve capire quali siano i particolari-chiave fondamentali per comprendere la scena che viene mostrata in quel momento. Siamo abituati in continuazione a giudicare e scegliere in base a cosa ci dicono i nostri occhi: se entriamo in una casa e vediamo giochi sparsi nel salotto, foto di famiglia, uno stendibiancheria con grembiuli celesti, deduciamo automaticamente che nella casa abitano dei bambini e che probabilmente quella non è la casa della gattara zitella che è morta nel più completo anonimato da tre giorni…
E allora quali dettagli sono giusti? Come faccio a sceglierli?
Come nel Risiko, tutto dipende dall’OBIETTIVO (e dalla smania di conquista globale del mondo che inevitabilmente sopraggiungerà innescando faide sanguinarie con i tuoi amici; ma questa è un’altra storia…).
In questo caso è inteso sia come il fine della scena, ma anche come il buco della serratura in cui ficchiamo l’occhio per sbirciarci dentro.
(Che bella la nostra lingua…)
Per il mio computer, l’obiettivo era chiaro: io volevo uno strumento che mi permettesse di disegnare. Avere questa informazione ha permesso al commesso di filtrare ciò che era utile PER ME, e di farmi capire.
Nel caso di una scena… prima di tutto bisogna capire cosa sia davvero una #scena e a cosa serva.
Ok, facciamo per alzata di mano. Tu, laggiù in fondo, spara.
«Serve a farci sembrare degli scrittori forbiti, che sanno usare parole ricercate e che sono in grado di usare le subordinate?» (Ehm… no.)
Un altro, forse di là è meglio…
«Serve a riassumere i fatti e a far muovere i personaggi in base alla trama che abbiamo in testa?» (Cos? NO! Mapporc…)
All’interno di una storia e del suo sviluppo strutturale, una scena è un tassello. Un tassello utile a farci fruire la storia stessa. È funzionale alla storia, deve esserlo, perché nella scena sono contenute informazioni necessarie a farcela comprendere.
Alla scena serve:
- un OBIETTIVO, quindi un “qualcosa” da ottenere;
- un CONFLITTO, quindi un’opposizione che generi un impedimento di varia natura;
- un RISULTATO, qui possiamo scegliere fra un bel mazzo di possibilità: sconfitta e peggioramento della situazione, sconfitta neutra, vittoria apparente, vittoria.
La scelta di una di queste opzioni dipende dal punto in cui si trova la scena all’interno della storia, ma magari ci torniamo in maniera più approfondita in un altro momento.
Volete un esempio?
Ok, la casa con i giocattoli sparsi è la mia. Sono di fretta e mi chiudo la porta alle spalle, ma pensandoci meglio, mi sa che ho lasciato il fornello acceso con la pentola sopra. Sarà questo strano odore che aleggia per le scale ad avermelo fatto ricordare. Poco male, frugo nella borsa per rientrare: le chiavi non ci sono.
Indovinate a chi ho dato una copia delle chiavi? Eh sì…
Vi interessa sapere di che colore sono le scarpe che indosso e dove le ho comprate?
Mi sa di no.
Però sarebbe interessante sapere se la mia porta è blindata o meno, cosa ho lasciato sul fuoco, se c’è rischio che possa strabordare e spegnere la fiamma, se fra mezz’ora scatta il timer delle luci dell’acquario, se ho lasciato anche la portafinestra della cucina aperta per far uscire il gatto, se il mio vicino di casa ha il terrazzo comunicante con il mio, se mi aprirebbe per scavalcare o se è proprio lui quello che mi lascia biglietti minatori sul tergicristallo della macchina…
Questi dettagli fanno la differenza.
E sapere se riuscirò a rientrare o meno prima che prenda fuoco tutta la casa, fa la differenza con i vari tipi di risultato, ma ho come il sentore che non sarà così facile riuscirci… (#TeamMammaDisagio)
Cominciate a capire cosa intendo?
Se pensate che sia un sacco di roba, vi assicuro che non sono le uniche cose che devono essere presenti.
Perché ogni scena parla.
Non solo parla di sé stessa, ma parla anche e soprattutto: dei personaggi, dei loro caratteri, dei loro difetti, dei loro pregi, delle dinamiche che li legano, di ciò di cui hanno bisogno, di come stanno cambiando, dell’ambiente in cui orbitano, dell’atmosfera, del periodo storico, di come si vestono, di come parlano, di cosa li emozioni… cioè, davvero devo continuare a elencare ancora?!
Le scene parlano (non lo ridico a caso, questa cosa è fondamentale); sono loro a parlare, non l’autore.
Cioè sì, ma no.
L’autore sceglie accuratamente cosa serve a quella specifica scena per potersi esprimere. Non la utilizza come palcoscenico per poter parlare nell’orecchio del lettore e fargli gli spiegoni di cosa sta succedendo, lascia che la scena parli per sé.
Lei ne ha tutto il diritto e lui ne ha il dovere!
Così, ogni piccolo tassello, con il proprio disegno, va ad agganciarsi perfettamente agli altri, per comporre un quadro più ampio e darci una visione globale sul puzzle completo.
La scena deve avere senso, in virtù della sua collocazione nel puzzle, sia come forma che come appartenenza.
Avete mai visto dei puzzle in cui siano presenti dei pezzi in più, seppur bellissimi?
Oppure, avete mai visto un puzzle che necessiti di pezzi presi da altri disegni per essere completo?
Direi di no.
Se non ha attinenza con il quadro generale, ogni altro tassello può rimanere ben sigillato in un’altra scatola.
Quindi, avete capito quali siano i dettagli utili a una scena e quali quelli da scartare?
Ma soprattutto, a che piano abiterà la gattara morta? Devo farmi tutto il condominio per scovarla?
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