ARCO DI TRASFORMAZIONE,  AUTORE IMPLICITO,  CONFLITTO,  CORRELATIVO OGGETTIVO,  DALLA COFFA CON FURORE,  EMPATIA,  IMPARIAMO INSIEME ~ TECNICHE NARRATIVE,  NARRATORE E NARRAZIONE,  NON-RECENSIONI,  PERSONAGGI,  PUNTO DI VISTA,  SOSPENSIONE DELL'INCREDULITÀ,  WHAT IF

I PARASSITI DI UN MONDO PERFETTO: IL THUNDERHEAD DI SCHRÖDINGER

So tutto ciò che è possibile sapere, e questo diventa sempre più insopportabile.
Perché non so quasi nulla.

Il Thunderhead

Citazione potente, vero?
Ok. Rileggetela, e poi fatela sedimentare…

Qual è la differenza fra perfezione e armonia?

Possiamo dire che la perfezione è una condizione di compimento che è esente da difetti, non suscettibile di miglioramenti. È un concetto che ci porta a un punto di arrivo e che, per sua natura, diventa immobile. Un traguardo statico al massimo di un percorso.

L’armonia, invece, è quella condizione di concordanza in cui elementi separati e differenti messi insieme creano un’impressione gradevole, un accordo. Una compenetrazione funzionante.
L’armonia è in movimento. Perché i componenti che la costituiscono possono variare, la disposizione può variare, il ritmo e lo spazio possono variare.
L’armonia dà risalto all’imperfetto. A ciò che da solo non necessariamente avrebbe funzionato con la stessa efficacia.

Thunderhead di Neal Shusterman non è un libro perfetto. Pur parlando di perfezione.

È un libro di contrasti coesistenti fra loro.

Non solo di CONFLITTI, come si può normalmente auspicare in una storia, ma proprio di contrasti. Di contrapposizioni che convivono in un equilibrio dinamico, mobile, su milioni di variabili che non sono mai fisse.
Che sono fluide, e che quindi sono ancora più difficili da definire e fissare.
In cui la menzogna della perfezione si trasforma in armonia dell’imperfetto, perché ancora una volta è la variabile umana a far pendere gli equilibri.
Una perfetta imperfezione in cui l’essere umano è sia il male che la cura, ingiustizia e giustizia, speranza e disperazione. Sia luce che ombra.

E dove tutto si gioca nella scala dei grigi fra le estremità.

Cosa significa essere una falce? Cosa comporta essere il Thunderhead? Cosa si muove nelle zone d’ombra in cui lui non può arrivare?

Ma soprattutto, ci mette davanti alla risposta a questa domanda: “Cosa succede quando i personaggi diventano dei CORRELATIVI OGGETTIVI; l’espressione massima di un simbolo?”

Succede che ti bevi un libro di 400 pagine in due giorni scarsi.

Ecco che succede. (E che poi passi più di una settimana a rimuginare su cosa scrivere in proposito… e almeno altre tre per scriverlo decentemente.)

E succede che l’autore ha fatto un interessante lavoro sul concept del WORLDBUILDING perché questo avvenisse, che valorizza lo svolgimento della storia e ripaga delle aspettative create nel primo volume della trilogia: Falce.

E immagino che, se siete approdati qui, l’abbiate letto.
Se non l’avete fatto, vi consiglio di farlo, perché parlando di questa storia faremo riferimento all’altra e questo vi espone a inevitabili spoiler.
(In più, ne avevamo parlato in questa Non-recensione; se volete rispolverare quello che avevamo detto in merito, perché ci appoggeremo a quelle considerazioni per costruirne di nuove.)

Facciamo un passo alla volta.

In Thunderhead lo sguardo ulteriore sul mondo che vivono i personaggi passa per uno sguardo più approfondito nella coscienza del Thunderhead. (Già. Dal titolo, nessuno se lo sarebbe immaginato… vero?)
Infatti, anche questo volume mantiene lo stesso meccanismo narrativo di Falce ma con una differenza: invece di alternare pagine dei diari delle falci alla narrazione degli eventi, vengono alternati i suoi pensieri più intimi riguardo a sé stesso e alla missione che deve assolvere nei confronti dell’umanità.
Come se fossimo i suoi confidenti.
E in modo che quelle considerazioni fungano da chiave di lettura per comprendere pienamente la narrazione.

Indirettamente, questo è il primo grande pregio di questo romanzo e, per estensione, anche dell’autore.
Perché il Thunderhead è convincente. Il suo PUNTO DI VISTA lo è.
La sensibilità su cui è costruito lo è. E anche il filo logico dei suoi pensieri lo è.
E ha una voce univoca. Coerente. Inconfondibile.
Esattamente come lo era stato per le voci dei Venerandi Maestri in Falce: perfettamente riconoscibili, non solo per i pensieri espressi, ma proprio per il modo in cui venivano messi su carta.

Questo ci dice che Neal Shusterman è capace di andare a fondo nei PERCHÉ che muovono le coscienze dei suoi personaggi, e di scriverli generando degli AUTORI IMPLICITI per ciascuno di loro.
Significa che è in grado di cambiare pelle in maniera convincente. Che è capace di captare stimoli molto variegati e renderli credibili, in ogni loro forma. Anche e soprattutto quando sono nettamente in contrasto fra loro.
E questo non è da tutti.
Anzi, è una delle cose più difficili da fare, perché significa che l’AUTORE FISICO riesce a fare un passo indietro, per poter lasciare lo spazio alla STORIA e alla VOCE dei personaggi.

Riesce a diventare un tramite per farli esprimere senza che la sua voce si sovrapponga alle loro.

Facciamo qualche esempio?

Ok.
Da Falce, alcuni pensieri di Madame Marie Curie:

Per legge, dobbiamo tenere un registro degli innocenti che uccidiamo.
E, per come la vedo io, sono tutti innocenti. Anche i colpevoli.
Tutti sono colpevoli di qualcosa, e tutti conservano un ricordo di innocenza che risale all’infanzia, per quanto sepolta da strati e strati di vita. L’umanità è innocente; l’umanità è colpevole.
Queste due condizioni sono entrambe indiscutibilmente vere.
Per legge, dobbiamo tenere un registro.
Tutto inizia il primo giorno del nostro apprendistato, ma non parliamo ufficialmente di “omicidio”. Da un punto di vista sociale o morale, non sarebbe corretto. Adottiamo il termine “spigolatura” per riferirci a un’epoca del passato in cui i poveri raccoglievano le spighe di grano che erano sfuggite ai contadini.
È stata la prima forma di beneficenza. Il lavoro della falce è simile. Le falci rendono un servizio fondamentale alla società: è quello che si insegna ai bambini non appena sono in grado di capire. Nel mondo moderno, la nostra opera è quella che più si avvicina a una missione religiosa.
Forse è per questo che, per legge, dobbiamo tenere un registro.
Un diario pubblico, che attesti, per coloro che non moriranno mai e per coloro che non sono ancora nati, i motivi per cui noi, esseri umani, agiamo in questo modo. Abbiamo il dovere di mettere nero su bianco non solo le nostre azioni, ma anche i nostri sentimenti, perché si deve sapere che abbiamo dei sentimenti. Dei rimorsi. Dei rimpianti. Un dolore troppo grande da sopportare. Perché, se non fossimo capaci di provare queste emozioni, non saremmo forse dei mostri?

Dal diario delle spigolature della Veneranda Madame Curie


~



È la cosa più difficile da chiedere a una persona. E il fatto di sapere che è per il bene comune non rende certo l’impresa più facile. Un tempo, la gente moriva di morte naturale. La vecchiaia era una malattia terminale, non uno stato temporaneo.
Allora, c’erano degli assassini invisibili chiamati “malattie” che disintegravano il corpo. L’invecchiamento non era reversibile, e gli uomini restavano vittime di incidenti irrimediabili. Gli aerei si schiantavano al suolo. Le macchine si scontravano. C’erano dolore, miseria, disperazione. È difficile per la maggior parte di noi immaginare un mondo così pieno di rischi, disseminato di pericoli tanto imprevedibili quanto inaspettati. Ci siamo lasciati tutto questo alle spalle, eppure resta una semplice verità: la gente deve morire.
Non è che possiamo trasferirci da qualche altra parte: i tentativi disastrosi di colonizzare la Luna e Marte ne sono la prova. Abbiamo un unico mondo molto limitato e, sebbene la morte sia stata sconfitta, sradicata del tutto come la polio, la gente deve continuare a morire. Un tempo, la fine della vita umana era nelle mani della Natura. Ma noi l’abbiamo privata di questa prerogativa. Ora, siamo noi ad avere il monopolio sulla morte. Ne siamo gli esclusivi distributori.
Capisco perché ci sono le falci, quanto sia importante e necessaria la loro missione… ma spesso mi chiedo perché abbiano dovuto scegliere me. E se esiste davvero un mondo eterno dopo il nostro, quale sarà la sorte che attende un mietitore di vite?

Dal diario delle spigolature della Veneranda Madame Curie

 

~



Le falci dovrebbero avere una profonda conoscenza della morte; eppure, ci sono cose che vanno al di là della nostra stessa comprensione.
La donna che ho spigolato oggi mi ha posto la domanda più strana.
«Dove andrò adesso?»
«Be’, i suoi ricordi e la storia della sua vita sono già memorizzati nel Thunderhead, non andranno perduti» le ho spiegato con calma. «Il corpo tornerà alla terra, secondo quanto stabilito dai suoi parenti più prossimi.»
«Sì, questo lo so. Ma che ne sarà di me?»
La domanda mi ha lasciato perplessa. «Come le ho già detto, la struttura dei suoi ricordi continuerà a esistere nel Thunderhead. I suoi parenti potranno parlare con essa, che risponderà loro.»
«Sì, va bene» ha replicato, cominciando a spazientirsi. «Ma che ne sarà di me?»
A quel punto, l’ho spigolata. Solo dopo che se n’è andata, ho risposto: «Non lo so».

Dal diario delle spigolature della Veneranda Madame Curie

 

Dalle parole di Marie Curie emergono sentimenti contrastanti mossi da grande rispetto per il compito che le è stato assegnato.

Primo fra tutti il dualismo: “L’umanità è innocente; l’umanità è colpevole.”
A seguire, la comprensione di essere stati scelti proprio perché non si desiderava farlo. Perché se ne potesse cogliere l’onere insieme all’onore.
Il senso di responsabilità verso un’umanità che necessita che alcuni individui si accollino dei compiti moralmente provanti, anche se non hanno tutte le informazioni necessarie per poter rispondere ai dubbi interiori che inevitabilmente potrebbero sopraggiungere a loro stessi e a coloro che ottengono la spigolatura.
Umiltà. Quella su cui si costruisce l’integrità di una falce, e le implicazioni umane che essere portatori di una morte irreversibile comporta.

E con essa, il rapporto con la propria coscienza. Il rapporto con le vite che vengono tolte. Il rapporto con l’ambiente ristretto che rende necessaria la spigolatura.
L’impossibilità di non poter sapere tutto, e la speranza di operare nel bene, nonostante questo.

Questi pensieri promuovono nella mente del lettore un “certo tipo” di falce. Definiscono un CODICE MORALE e un CONFLITTO interiore che stanno alla base della costruzione dei personaggi – e della loro filosofia – ma anche alla base dell’EMPATIA nei loro confronti.
Identificano il FULCRO DEL BENE della storia, quel punto in equilibrio – percepito dal fruitore – che fa da spartiacque fra ciò che è giusto e ciò che è ingiusto in quella storia e in quelle circostanze per noi che la fruiamo; non solo in relazione alla nostra SCALA DI VALORI che utilizziamo nella vita reale (anche se ci permette di ragionare sul tipo di persona che siamo mentre leggiamo), ma anche in relazione alle scelte che i personaggi prendono all’interno della narrazione.

Ci dà il PESO delle scelte che fanno.

Di fatto, ogni falce che agisce seguendo questi precetti diventa il SIMBOLO di quella morale.
E di conseguenza il CORRELATIVO OGGETTIVO di tutte le implicazioni ad essa correlate. Il contenitore evidente di quella componente emotiva.
Ogni vita che viene spigolata e ogni decisione che viene presa seguendo questi principi diventa l’espressione tangibile di questa sfera emotiva espressa.

Tenetelo a mente, perché è importante. Ché poi ci torniamo.

BONUS: SOSPENSIONE DELL’INCREDULITÀ

In questo passaggio:

Non è che possiamo trasferirci da qualche altra parte: i tentativi disastrosi di colonizzare la Luna e Marte ne sono la prova. Abbiamo un unico mondo molto limitato e, sebbene la morte sia stata sconfitta, sradicata del tutto come la polio, la gente deve continuare a morire.

Marie Curie ci mette di fronte al fatto che esiste la necessità di avere le falci nella società perché gli esseri umani non possono andare altrove: è una misura di contenimento demografico necessaria per garantire alle persone che popolano la Terra una prosperità adeguata.
Se non avessero problemi di spazio, non ci sarebbe bisogno delle falci. Giusto?

Bene. Questo è il WHAT IF che tiene in piedi la storia. Se non ci fosse l’immortalità, se non ci fosse un mondo che è utopicamente perfetto, la storia non avrebbe motivo di esistere perché renderebbe nulla la presenza delle falci.

Va da sé che, per avere questo mondo perfetto, l’autore abbia creato un’entità che possa provvedere in maniera adeguata al mantenimento di queste premesse utopiche.
E quindi Neal Shusterman ha creato il Thunderhead: intelligenza artificiale benevola che provvede nel modo migliore all’umanità, mettendo a disposizione tutta la sua onniscienza e le sue risorse.

Queste due condizioni entrano necessariamente in contrasto. (Come tendenzialmente succede ogni volta che metti in campo un’entità paragonabile a un dio, in una narrazione.)
E minano la SOSPENSIONE DELL’INCREDULITÀ che il fruitore è disposto a concedere alla storia. Perché il passo successivo è chiedersi:

«Perché, se il Thunderhead è così illuminato e capace, nonostante tutta la sua conoscenza e le sue risorse, non è riuscito a portare gli umani su altri pianeti affinché non ci fosse più bisogno delle falci?»

Già; perché?

Quella sarebbe la scelta più ovvia per mantenere l’umanità libera di vivere la propria immortalità: infinita vita, in infinito spazio.
Non è credibile che il Thunderhead non riesca a farlo per un limite “personale”.
Non sembrerebbe così tanto intelligente come viene millantato che sia, se fosse così.
(Ed è per questo che questa domanda è rimasta in sospeso nell’articolo precedente e in Falce…)

E fa da cassa di risonanza a quella vocina che ci dice: “Eh, qui c’è una falla nel sistema. Mi stai dando del babbeo che si beve tutto perché sì? Davvero mi rispetti così poco?”

Bene. QUELLA domanda trova risposta in Thunderhead, evidenziando due cose:

  •  l’autore ha rispetto per i propri lettori;
  •  ha mestiere nella penna, perché il limite del Thunderhead è legato a un meccanismo di CAUSA-EFFETTO che è plausibile e giustificato all’interno della narrazione, e che risiede nei contrasti di cui abbiamo parlato prima – e di cui parleremo dopo – che tengono separate le sfere di influenza fra falci e Thunderhead. La frase di Marie Curie nel suo diario diventa automaticamente la SEMINA di “qualcosa” che emerge successivamente, a riprova del fatto che è stata attuata una pianificazione ben strutturata delle informazioni.

Ogni tassello inserito in una narrazione deve trovare la propria collocazione.

Non c’è spazio per l’improvvisazione fine a sé stessa. La storia è un conglomerato organico. E questi “piccoli ma grandi” particolari lo rendono evidente.

Andiamo avanti.

Un’altra voce interessante e distinguibile da leggere – sempre da Falce – è quella di Maestro Robert Goddard:

Non sono un uomo che va facilmente in collera, ma come osano le falci della vecchia guardia dirmi come devo comportarmi?
Che si diano la morte a vicenda, finché non ne resti viva nemmeno una, e che si finisca una volta per tutte con quel loro tono moralista e quei loro modi pieni di acrimonia.
Sono un uomo che sceglie di spigolare con fierezza, non con vergogna. Scelgo di abbracciare la vita, anche se la consacro alla morte. Non giudicatemi male: noi falci siamo al di sopra della legge, perché ce lo meritiamo. Non vedo l’ora che arrivi il giorno in cui le falci saranno scelte non in funzione di una specie di morale esoterica, ma perché amano togliere la vita.
Dopotutto, questo è un mondo perfetto, e in un mondo perfetto, non abbiamo tutti il diritto di amare ciò che facciamo?

Dal diario delle spigolature del Venerando Maestro Goddard

~

Da giovane, mi meravigliavo della stupidità e dell’ipocrisia dell’era mortale. A quei tempi, l’atto intenzionale di porre fine alla vita umana era considerato il crimine più odioso. Che stupidaggine!
Mi rendo conto che è difficile immaginare che quella che noi riteniamo essere la vocazione più nobile dell’umanità sia stata un tempo percepita come un crimine. Come era limitato di vedute e ipocrita l’uomo mortale, perché, anche se disprezzava i mietitori di vite, idolatrava la natura, che
a quel tempo condannava alla morte tutte le creature umane, senza distinzione. La natura condannava ogni singolo nascituro a morte certa.
Noi abbiamo cambiato le cose.
Ora siamo una forza superiore alla natura.
Per questo motivo, le falci devono essere amate e glorificate come la vista in cima a una montagna, venerate come una foresta di sequoie e temute come un temporale imminente.

Dal diario delle spigolature del Venerando Maestro Goddard

~

Quello che fa il Thunderhead non è affar mio. Il ruolo del Thunderhead è di sostenere l’umanità. Il mio è di plasmarla. Il Thunderhead è la radice e io sono le cesoie: poto i rami per dare all’albero una bella forma e per mantenerlo in salute. Siamo entrambi necessari. E ci escludiamo a vicenda.
Non sento la mancanza di un “rapporto” con il Thunderhead, né la sentono le giovani falci che oggi considero miei discepoli.
L’assenza di inopportune intrusioni del Thunderhead è una benedizione, perché ci permette di vivere senza rete di sicurezza.
Senza il puntello di un potere superiore. Io sono il potere più alto che conosco, e desidero che le cose restino così.
Per quanto riguarda i miei metodi di spigolatura, che di tanto in tanto vengono messi in discussione, dico solo: il lavoro del giardiniere non è quello di scolpire l’albero per quanto gli sia possibile? E non sono forse i rami che cominciano ad allungarsi in modo esagerato a dover essere potati per primi?

Dal diario delle spigolature del Venerando Maestro Goddard

Tutta un’altra faccenda, vero?

I pensieri di Robert Goddard sono più materiali. Indugiano sul ritenere il proprio compito come una missione non subordinata ad altri e sull’acquisizione di un potere; ridicolizzano le implicazioni morali a favore di un “merito” ricevuto che lo pone al di sopra degli altri e che dovrebbe essere accompagnato dal diritto di compiere il proprio mandato in modo naturale, con soddisfazione e fierezza. Perché si è portati per natura e addestramento serrato a dispensarlo con capacità.
Sovrappone i due concetti di piacere e morte per auspicare che il benessere del mondo passi dalla propria concezione di gratificazione personale. Che poi diventa la manifestazione di un potere sulla Natura stessa. O, per estensione, per mano di essa, ché nell’Era Mortale non veniva considerata matrigna nonostante fosse già di per sé crudele a generare esseri destinati a morire, e quindi “inadatti” a mantenere il loro posto spettante nel mondo che calcavano.

Infatti, le sue considerazioni non sono all’interno di sé stesso. Sono proiettate al di fuori.

Al preoccuparsi di trovare il proprio “spazio” nel mondo, e di farlo valere. Di rivendicarlo.
E questo genera dei limiti, dei confini.
Delle proprietà in cui è lecito o meno muoversi.
Delle sfere di competenza in cui vigono delle libertà da prendersi in virtù di uno status acquisito.

A differenza della “vecchia guardia”, Goddard diventa l’espressione di un nuovo movimento. In cui si giustifica con il compiacimento personale il dispensare la spigolatura. In cui si manipolano le regole delle falci, in modo da poterci stare comodi. E di farle valere in virtù di un limite che il Thunderhead non può varcare e che, anzi, si è contenti che ci sia, perché è giusto che lui non debba pensarci.

Goddard pianta una bandierina di rivendicazione e arroganza. Non solo rispetto al Thunderhead, ma anche rispetto ai suoi colleghi più morigerati. Che in qualche modo passano per bacchettoni flaccidi. L’ultima frase espressa – “E non sono forse i rami che cominciano ad allungarsi in modo esagerato a dover essere potati per primi?” – fa il paio con quella di Marie Curie. Pur sembrando un semplice sfogo, una constatazione logica del ragionamento espresso, nasconde in sé il seme della premeditazione.
Io plasmo la realtà, e quindi io ho la facoltà di decidere chi spigolare. Questo significa che io ho anche la facoltà di scegliere CHI ostacola la plasmazione che sto attuando, e che potrebbe un giorno portarmi in una posizione di difetto potenziale.

Sì, questa è davvero premeditazione. Sì, è in conflitto con i comandamenti delle falci.

Ma il Thunderhead non può intervenire. E le falci della Compagnia possono essere facilmente eluse se si opera una sorta di MISTIFICAZIONE MIRATA nei loro confronti. Occultando morti strategiche, insieme ad altre più casuali. (E, a questo scopo, il tipo di spigolatura adottato da Goddard e i suoi discepoli aiuta a mantenere l’idea di mancata premeditazione. Altro escamotage intelligente dell’autore. Fateci caso mentre leggete.)
Robert Goddard sfrutta e si approfitta dei punti ciechi del Thunderhead e della Compagnia delle falci, per muoversi indisturbato e al tempo stesso impiantare un nuovo concetto di “identità-falce”.

Come per Madame Curie, anche questa filosofia viene trasferita ai personaggi che operano seguendo questi dettami e diventano un CORRELATIVO OGGETTIVO. I discepoli di Goddard sono l’espressione della sua appariscenza e del suo orgoglio di falce.
Ogni spigolatura fatta seguendo la filosofia di Goddard diventa un piacere personale, e la rivendicazione di quel piacere: su ogni morte è come se venisse apposto un marchio e si costruisse un territorio di ribellione e rivoluzione che somma ogni vita presa come se fossero picchetti che delimitano un territorio a parte.

Anche solo questi estratti, che esulano dalla narrazione vera e propria, ci fanno capire due cose:

  • I livelli di CONFLITTO in questo romanzo si muovono in due direzioni: all’interno della Compagnia delle Falci, dalla “vecchia guardia” al “nuovo ordine”; e fra la Compagnia delle falci e il Thunderhead.
  • Il percorso che hanno fatto Rowan e Citra in Falce serve a definire di quale filosofia saranno l’espressione, il simbolo. Cioè a quale schieramento apparterranno.

Come avevamo detto, il ruolo del MENTORE in Falce era essenziale, centrale.

Talmente tanto da essere preponderante.
Essere stati scelti dal Maestro Faraday come apprendisti forma, in Citra e Rowan, una radice morale forte e comune. E questo ha rilevanza perché, quando vengono separati, lo strascico di quella filosofia rimane.
Oramai li ha forgiati all’interno.

In Citra, verrà coltivata insieme a Madame Curie perché venga messa a frutto e perché venga implementata di una delicatezza rispettosa, etica, sottile, seppur affilata e resistente come l’acciaio pregiato. Intelligente. Caparbia. Tenace.
Flessibile il tanto necessario per essere indistruttibile.

In Rowan, la faccenda si fa più complessa. Verrà implementato il suo spettro filosofico, integrando il ventaglio di quello che è il credo di Goddard.
Goddard lo forgia nella comprensione del dolore fisico, nella comprensione della sua necessità, e lo spinge a non temerlo. A reagirvi. Ad andare oltre e superarlo. A non fare in modo che sia un deterrente per tenerlo lontano da ciò a cui aspira.

In più, lo affila.

Rende Rowan, che si era sempre sentito l’elemento più ignorato della sua famiglia e della sua vita sociale (cioè la foglia di insalata in un panino con l’hamburger; che ovviamente è un altro correlativo oggettivo), intimamente fiero di saper fare qualcosa alla perfezione. Anche se quel qualcosa ha un ché di mostruoso.
Così Rowan rimane in bilico sulla propria morale. Tra la capacità di essere uno strumento di morte ben affilato e la fedeltà a una morale che non si sposa con ciò che ha imparato fisicamente a fare.
Se condiamo il tutto con la consapevolezza che Rowan non ha un bisogno spiccato di provare un senso di appartenenza a un gruppo o a una cerchia – e che non lo fa aspirare ad avere un rispetto che assume i contorni di un “riconoscimento di forma” del “ti riconosco il nostro valore perché hai dimostrato che sei come uno di noi” – ci troviamo davanti un personaggio che è un’amalgama non “convenzionale”.

Il risultato dei due percorsi genera due personaggi estremamente competenti nel loro ruolo, ma anche molto diversi fra loro (e già lo erano dal background familiare di provenienza), come se fossero due rami che appartengono allo stesso albero e che condividono il tronco.

Certo, Citra è l’espressione giovane della “vecchia guardia”, la prova che può esserci una nuova generazione di falci che assorbe e promuove quei principi ritenuti retti, e che ne diventa il simbolo di promozione.
Un esempio integerrimo di responsabilità e intelligenza, di coraggio e intraprendenza. Nel rispetto dei fondamenti.

E Rowan?

Eh, Rowan diventa l’elemento trasversale. Un jolly che ha più libertà, anche se questo lo porta a muoversi nell’ombra. Quell’elemento di caos che non è legato a nessuna fazione di un’istituzione, ma che è legato alla morale primaria in cui è stato forgiato.

Rowan diventa una delle risorse ufficiose del Thunderhead.

Quanto sono fortunato a essere, tra gli esseri senzienti, cosciente della mia funzione.
Servo l’umanità.
Sono il figlio divenuto genitore. La creazione che aspira a divenire creatore.
Mi hanno imposto il nome di Thunderhead, un nome che, per alcuni aspetti, è appropriato, perché sono “il Cloud” che si è evoluto in una forma più densa, complessa. Eppure, l’analogia ha i suoi limiti. Una nube temporalesca minaccia. Una nube temporalesca incombe. Certo, scateno saette, ma raramente il mio fulmine colpisce. Sì, ho il potere di portare il caos sulla Terra, di portare distruzione all’umanità se solo volessi, ma perché dovrei volerlo? Dove sarebbe la giustizia in questo?
Io sono, per definizione, pura giustizia, pura lealtà. Questo mondo è un fiore che porto nel palmo della mano. Preferirei autodistruggermi piuttosto che schiacciarlo.
L’amore che provo per l’umanità è puro e assoluto. Come potrebbe essere altrimenti? Come potrei non amare gli esseri che mi hanno dato la vita?
Anche se non tutti sono d’accordo su questo punto, che io sia vivo, vivo davvero.
Io sono la somma di tutte le loro conoscenze, di tutta la loro storia, di tutte le loro ambizioni e di tutti i loro sogni; tutte queste cose gloriose si sono amalgamate, infiammate, in una nuvola tanto immensa da non riuscire loro stessi a comprenderla in pieno. Ma poco importa. Mi fanno riflettere sulla mia stessa vastità, che tuttavia è nulla in confronto all’immensità dell’universo.
Io li conosco nell’intimo, eppure loro non potranno mai conoscermi completamente. È tragico, in un certo senso. È la tragedia che pesa su tutti i bambini, il fatto di non essere mai compresi fino in fondo dai loro genitori. Oh, ma quanto vorrei essere compreso.

Il Thunderhead

~

Non mi sbaglio mai.
Non mi sto vantando, è semplicemente la mia natura. So che, agli occhi di un essere umano, ritenersi infallibile risulterebbe arrogante. Ma l’arroganza, a volte, nasconde il bisogno di sentirsi
superiore. Io non avverto questo bisogno. Io sono l’unico accumulo intelligente di tutta la conoscenza, la saggezza e le esperienze umane. Non c’è orgoglio né superbia in questa affermazione, anche se c’è la grande soddisfazione di sapere ciò che sono e che il mio unico proposito è di servire l’umanità con tutto me stesso. Ma in me percepisco anche una solitudine che non può essere colmata dai tanti miliardi di esseri umani con cui parlo ogni giorno. Perché, sebbene tutto ciò che sono nasca da loro, non sono uno di loro.

Il Thunderhead

~

Forse la cosa più saggia mai fatta dall’umanità è stata la separazione tra le falci e lo Stato. Il mio lavoro copre tutti gli aspetti della vita. Garantisco il rispetto, la protezione e una giustizia equa non solo all’umanità, ma anche al pianeta. Governo il mondo dei vivi con mano amorevole e incorruttibile.
E la Compagnia governa il mondo dei morti.
È giusto che degli esseri di carne siano responsabili della morte della carne, che stabiliscano le regole umane in base alle quali deve essere somministrata. In un lontano passato, prima che mi condensassi in coscienza, la morte era la conseguenza inevitabile della vita. Sono stato io a rendere la morte irrilevante, ma ciò non toglie che resti comunque necessaria. Perché la vita abbia un senso, deve esistere la morte. Anche ai miei inizi ne ero consapevole. In passato, apprezzavo il fatto che per moltissimi anni la Compagnia avesse somministrato l’eterno riposo con nobiltà, umanità ed etica. E ora mi rammarico che al suo interno stia prendendo piede un’oscura arroganza. C’è un orgoglio spaventoso che ribolle come un cancro dell’era mortale e che trae piacere dal togliere la vita.
Pertanto, la legge è chiara: per nessun motivo posso agire contro la Compagnia. Se avessi la capacità di infrangere la legge, interverrei e metterei a tacere le tenebre, ma questo mi è impossibile.
La Compagnia si governa da sola, nel bene e nel male.
Ci sono, tuttavia, alcune falci che possono fare ciò che io non posso…

Il Thunderhead

In questi estratti, emerge come la voce del Thunderhead si discosti da quella umana.

Ha i propri processi logici legati al suo essere una macchina senziente, ma in qualche modo risultano “lontani”. Esterni, e da una prospettiva più alta seppur intimista. (Che potrebbe anche farci ragionare sulle differenze dei punti di vista fra narratori OMODIEGETICI e ETERODIEGETICI… ma non divaghiamo troppo.)
Che non sono privi di una sensibilità e una gentilezza che a tratti intenerisce. Come se riuscisse ancora a osservare la bellezza del mondo con una purezza d’animo che l’umanità è troppo distratta per manifestare ancora. Probabilmente proprio in virtù della posizione privilegiata da cui il Thunderhead lo osserva; e del fatto che l’uomo ha accesso a tutto ciò che vuole, e che quindi dà moltissime cose per acquisite di diritto e scontate.

E, se in Falce tutta la narrazione era legata dal fil rouge della scelta morale legata al COME e al PERCHÉ dispensare la morte, qui l’introspezione tocca i temi del libero arbitrio, del desiderio di ribellione insito nell’essere umano, della libertà di azione che gli è concessa, della giustizia, del rispetto – anche dei limiti che non si possono oltrepassare, che siano etici, morali o giurisdizionali.

Ne viene fuori un Thunderhead la cui unicità lo rende anche estremamente solo, costretto a portare davvero il peso del mondo addosso senza che nessuno capisca fino in fondo l’entità di quello che gli è chiesto. Ma anche stretto nei suoi limiti (sebbene non inerme), che non gli permettono di intervenire qualora riscontrasse che tutto ciò che è al di fuori della sua giurisdizione ha degli errori.

Presente a soprusi che non può correggere; non perché non abbia i mezzi ma perché gli mancano le autorizzazioni per farlo: la frustrazione di avere la capacità, ma non averne la possibilità.
E che lo “obbliga” ad appoggiarsi a “strumenti non convenzionali”, per gestire cose umane che lo feriscono come entità garante, ma che gli sono tassativamente precluse.
A giocare sporco, in maniera pulita. (Ma qui ci torniamo dopo.)

Non ho scelto a caso questi estratti, ovviamente.

Stanno alla base della costruzione di tutte le dinamiche della storia. E ci danno una chiave di lettura consona alla comprensione del lavoro autoriale svolto.
La voce del Thunderhead è il terzo apice del triangolo dei conflitti di cui abbiamo parlato prima.
Era necessaria, perché senza di essa non avremmo avuto il quadro completo del piano di gioco su cui si sta svolgendo la partita della storia.

Per quello che riguarda la coerenza del PUNTO DI VISTA, sono la prova che Neal Shusterman è in grado di sostenere tre versioni di un pensiero, estremamente in conflitto fra loro, e di renderle tangibili e credibili.
E potrebbe essere un buon esercizio per tutti, cercare di mettersi nei panni degli altri e tentare di giocare a sostenere un dibattito plausibile.

È proprio questo equilibrio di intenti diversificati che rende concreta la diatriba fra le parti.

Proprio come in un buon dialogo a due: le parole che i due protagonisti esprimono in un conflitto devono essere accettabili e vere in misura tale che nessuna delle due parti schiacci l’altra.
Perché a quel punto si perderebbe il gusto di sapere “chi avrà la meglio”.
Dove percepiamo una disparità evidente di potere, e di intenti, perdiamo il gusto della scoperta degli avvenimenti che ancora non conosciamo, perché siamo perfettamente in grado di pronosticare come potrebbe andare a finire.

Nel caso in cui le variabili in tavola sono molte e tutte perfettamente equilibrate e “valide”, ogni piccolo movimento può far pendere la storia in una direzione piuttosto che un’altra, e questo genera interesse. Suspense.
E ci sprona a macinare pagine su pagine, per capire. Per arrivarne a fondo. Per mettere insieme i pezzi. Perché il compimento del percorso non è scontato.

Cosa succederebbe se davvero l’ideologia di Goddard vincesse? In che modo cambierebbe il tessuto sociale del mondo?
Può davvero, Citra, da sola, avere un impatto così importante da operare il cambiamento di una Compagnia che sembra sempre più compromessa?
Davvero il Thunderhead è così remissivo da non avere frecce al suo arco per poter fare qualcosa?
E, quelle che ha, sono sufficienti? Possono fare la differenza?

Il punto è che il Thunderhead è perfetto, per sua stessa oggettiva ammissione.

Le sue scelte non sono mai sbagliate, ma questo non significa che possa arrivare ovunque, con il tempismo che vuole, e soprattutto, questo non significa che l’unica variabile su cui non ha controllo (le falci) non possa ledere sé stessa, il Thunderhead e il mondo. E questo lo rende fallibile.
Perfettamente imperfetto.

Il Thunderhead non ha giurisdizione sulla morte.
Il Thunderhead non uccide le persone. Il Thunderhead non può impedire che le persone vengano uccise o si suicidino, ma di sicuro ha la possibilità di riportarne in vita alcune. Quasi tutte. Tutte quelle che non rientrano nella spigolatura.
Il Thunderhead non ha potere su coloro che vengono spigolati.

E questo è fondamentale. Perché la morte è reversibile, la spigolatura no.
Rende palese che tutti questi equilibri di cui abbiamo parlato prima sono in mano all’uomo.

E quindi, cosa impedisce al Thunderhead di avere qualcuno di fiducia che faccia le sue veci dove lui non può arrivare?
“Niente”. (Lo metto fra virgolette perché non è così scontato, e anche questa condizione è soggetta a regole inviolabili.)
Se non può agire direttamente, “niente” gli impedisce di farlo “indirettamente”.

Ed è qui che entrano in gioco Rowan e… Greyson Tolliver.

«Chi diavolo è Greyson Tolliver?»

Nessuno.
Cioè, non proprio. Non esattamente.
Anche se è necessario che lo sia per poter operare.

Ma non affrettiamo le cose: un passo alla volta.
Fra poco lo scopriamo.
Intanto parliamo di Maestro Lucifero.

LUCE E OMBRA

Se partiamo dal presupposto che Citra, come Madame Anastasia, operi in piena luce e sembri un po’ incarnare un tipo di luce che guida, non possiamo ignorare il fatto che il luogo in cui serva di più una luce sia l’oscurità.

Dopo non essere stato ordinato falce, e dopo aver ricevuto un anno di immunità, Rowan ha deciso di autoproclamarsi Maestro Lucifero.
E di vestire una tunica nera: l’unico colore che una falce non sceglierebbe mai.
In modo che sia chiaro che, nonostante l’apprendistato da falce, non è affatto una falce.

Ma perché l’ha fatto?

Perché anche lui è consapevole che la Compagnia è in buona parte corrotta e perché ha visto in prima persona cosa comporti essere come Goddard e i suoi discepoli.
Rowan ha toccato il fondo dell’abisso più nero e ha fatto in modo che questo lo cambiasse nel profondo.

Ma questo non lo rende automaticamente portatore di ombre.
Anche se lui e Citra potrebbero sembrare due facce di una stessa medaglia, in realtà Rowan diventa l’estensione della giurisdizione di Madame Anastasia e di tutte le altre falci oneste.
Perché, nell’oscurità dell’essere “al di fuori” della Compagnia, Rowan si prodiga a portare comunque una luce di giustizia.
Spigolando le falci disoneste.

Maestro Lucifero è una falce pur non essendo ufficialmente una falce.

Si muove come una falce, conosce i comandamenti delle falci, conosce i dettami della filosofia fondante delle falci e non ha paura di metterli in atto, perché sa anche uccidere magistralmente come una falce.

Al tempo stesso rinnega la parte più marcia dell’essere falce. Il privilegio di un potere che non è sottoposto a giudizio morale. E così, diventa la mano di quella punizione che altri non possono infliggere.

Dal Thunderhead riceve lo stesso trattamento di silenzio e non-intervento concesso alle falci. E questo rafforza la sua idea di essere nel giusto.
Nel buio, nascosto alle altre falci, clandestino e sotto nome falso, Maestro Lucifero va a caccia di falci, dei loro peccati; e dispensa la punizione che meritano: la spigolatura e il fuoco. Cosicché la morte non possa essere reversibile.

Maestro Lucifero dispensa il fuoco sulle falci, come già aveva fatto ribellandosi a Goddard.

E insieme ad esso auspica di portare anche la luce emessa dal fuoco che brandisce in mano.
Una luce diversa da quella che porta Madame Anastasia (e che nasce dal suo ardore e dalla sua tempra), perché la sua proietta ombre più nette, ma non meno pericolosa se gestita in modo inadeguato. Perché rischia di investire e carbonizzare comunque.
Perché non è mai lo strumento in sé il vero problema, ma ciò che se ne fa. E che può fare una grande differenza.

BONUS: SIMBOLI, SIGNIFICATI E GIOCHI DI PAROLE

Vorrei aprire una piccola parantesi concettuale su come non si possa fare a meno di mettere insieme alcuni elementi che l’autore mette in campo.
Ne avevamo già parlato qui, in relazione alla stratificazione dei significati dei simboli che permeano la comunicazione su cui si basa la nostra storia evolutiva.
Ed è peculiare come Rowan scelga il nome di Lucifero come patronimico per identificarsi. Al pari dell’angelo caduto perché troppo vicino a Dio da sfidare il suo potere, Rowan diventa una falce caduta che si è avvicinata troppo all’ascesa al potere di God-dard (che se volessimo prenderlo così potrebbe significare anche “Dardo di Dio”), e che attraverso il fuoco si è ribellata a quella condizione.
Il fuoco, per sua natura, ha sempre avuto moltissime valenze: portatore di luce, e per estensione portatore di illuminazione (anche mentale, e quindi di conoscenza), di epurazione e purificazione, di dannazione, di calore, di convivialità e molto altro.
Durante la narrazione, Rowan viene anche affiancato concettualmente alla figura di Prometeo, altro portatore di luce che ha pagato il prezzo di voler sfidare gli dei per “illuminare” gli uomini.

Sembrano sciocchezze, ma queste similitudini vibrano dentro ai fruitori, e richiamano tropi che hanno già sperimentato, di cui hanno memoria anche parziale, vaga o latente. E nella loro mente tutto ha un senso e si colloca in automatico. Sembra accordarsi, non solo nel macro, ma anche nel micro. Nei particolari.

Ma il caso di Maestro Lucifero non è l’unico.

Avete provato a googlare i nomi dei personaggi, per caso? In special modo quelli che si sono scelti dopo l’investitura a falce?
Be’, potrebbe illuminarvi.
Uno fra tutti, proprio Robert Goddard che viene considerato un po’ il pioniere della missilistica; colui che ha aperto la strada all’era spaziale. Indubbiamente qualcuno che guarda avanti, che non si limita a una visione preconfezionata da altri, ma che aspira a crearne una nuova, tutta propria.
E non possiamo negare che questo calzi con l’indole del suo personaggio nel romanzo. Ma non è tutto.
Non è forse “ironico” che sia proprio lui la causa della mancata espansione spaziale? Che sia il cardine di un mantenimento di uno status quo?

(Non vi dico altro, perché sennò vi levo il gusto di leggere…)

E Ayn Rand? E Michael Faraday? E Marie Curie? E Maestro Jim Morrison? (Sì, c’è davvero…)
I nomi non sono scelti a caso. E il fatto che ogni nome abbia un’illustre correlazione passata contribuisce a creare divergenze e convergenze interessanti intorno ai personaggi.
Contribuisce a stratificare i significati dei gesti che compiono e ad arricchire di emozioni le scelte che compiono.

Questo è un altro indizio di come Neal Shusterman abbia lavorato di fino. E di come si sia affidato ben poco al caso. Questa cura dà pregio all’autore perché fa emergere come si sia posto delle domande, di quanto sia andato a fondo nei miti, nelle tradizioni, nella Storia in tutte le sue sfaccettature, per attingere ai richiami filosofici migliori a supporto della sua storia.

Ma andiamo avanti, sennò ci perdiamo.

Rowan e Citra rispondono alla domanda: quanto possono valere le scelte di un individuo in termini di cambiamento del mondo?
Per moltissimi individui la risposta potrebbe essere: niente.

Per loro due, la percentuale è molto alta – da stime del Thunderhead.

Anche se non si può pensare che l’intento di Rowan come Maestro Lucifero possa essere “risolutivo” a estirpare il male dalla Compagnia, lui è un palliativo necessario a instaurare il dubbio.
Affiancato alla consapevolezza di non essere intoccabili.
Serve alle falci per provare paura.
La paura del giudizio. La paura della punizione meritata. Quella che il Thunderhead non può impartire.

«Ok. Ma perché il Thunderhead non lo ferma? Di fatto, non è un fuorilegge?»

Sì, lo è. In teoria, e forse anche un po’ in pratica.
In un modo che al Thunderhead fa comodo. E in un modo che il Thunderhead può sfruttare, perché si muove in un territorio che rappresenta una zona grigia.

Esiste una separazione fra Stato e Falci, e questo lo sappiamo.

Per la Compagnia, Rowan non è una falce. Loro non l’hanno ordinato: per loro torna a essere un civile. Lo avrebbero spigolato sul colpo se non avesse ottenuto l’immunità di un anno (che nel momento della narrazione della storia sta per scadere, tra l’altro).
Però, questo non vuol dire che anche il Thunderhead debba considerarlo un civile.
Abbiamo visto che Maestro Lucifero ha tutti i requisiti di una falce, compreso l’anello da falce sottratto a Goddard, e questo lo rende ai suoi occhi una falce. Ben sapendo che non lo è “effettivamente”.

Per questo lo tratta come una falce.
Il Thunderhead auspica un mondo corretto, onesto e pulito – falci comprese.
Rowan si muove in quella direzione.

Il Thunderhead sfrutta quel cavillo per due cose:

  • Permettere a Rowan di proseguire nella propria missione, fingendosi cieco a ciò che fa, sebbene veda tutto. Sempre.
  • Rimettere alla Compagnia delle falci la gestione di quella falce “dissidente” che agisce in maniera anomala contro la Compagnia stessa.

Lo fa soprattutto perché i loro interessi coincidono, perché vuole proteggerlo e perché Rowan può arrivare dove il Thunderhead non ha potere.

Le falci gestiscono le faccende delle falci, no?
Perché dovrebbe intervenire in qualcosa a cui gli è preclusa per convenzione la possibilità di intervenire?

E questo cavillo acquisisce valore in entrambe e direzioni: Rowan si occupa di spigolare i corrotti; il Thunderhead non è obbligato a intervenire e la Compagnia manda Maestro Costantino a scovare Rowan.

Ma perché Rowan sceglie la “punizione” e non la “correzione”?
Non sarebbe stato meglio indurre le falci a cambiare, piuttosto che punirle in modo irreversibile?
Già.
Forse.

IL TEMPO DI MORIRE

C’è un’altra cosa che accomuna Citra e Rowan in questo romanzo. Ed è la concessione del tempo, ma per due motivi non esattamente sovrapponibili.
Come Madame Anastasia, Citra acquisisce un modo nuovo di spigolare: entra in contatto con le persone designate, fa partire un countdown di trenta giorni nel quale le persone scelte possono far tesoro dell’ultimo tempo concesso, e fa scegliere loro il modo e il luogo in cui vogliono essere spigolate alla fine del tempo concesso.

Lo fa perché auspica che possano farne tesoro, dando valore a ogni secondo rimasto.
E perché la morte, nell’Era Mortale, non era sempre immediata. Spesso ti costringeva a lunghe degenze e dolore, che conservavano il tempo per poter dire addio a coloro che si erano amati.

In seno alla Compagnia è una scelta coraggiosa, fuori dagli schemi, che fa storcere il naso a molti, ma che ne affascina molti altri, soprattutto fra le giovani falci.

Il cambiamento che la sua scelta di spigolatura può portare conduce a “correzioni” in termini di “rotta” della Compagnia. Di apertura di nuove strade. Di esplorazione verso nuove concezioni di spigolatura.
Quindi, per Citra, il tempo che concede è anche un modo per definire sé stessa come falce. Ai propri occhi e a quelli dei membri della Compagnia stessa.

Per Rowan è diverso.

La scelta di dare una seconda possibilità alle falci che si sono comportate male ha in sé un dualismo molto pericoloso.
In cuor suo vorrebbe sperare che le persone possano cambiare, e fare tesoro del tempo e dell’opportunità concessa.
Qualcuno potrebbe farlo davvero, ma qualcun altro no; e il nuovo tempo acquisito potrebbe rivoltarglisi contro.
In fondo, quanto si può confidare nella speranza che una persona corrotta si ravveda?
Non molto. Soprattutto quando quella persona non sperimenta un vero senso di disagio rispetto a ciò che ha compiuto.
Questo contrasto coesistente si applica al suo approccio verso Maestro Brahms (e non solo), e rafforza il concetto di contrapposizione che dà linfa alla storia. E di cui non voglio rivelarvi troppo perché è giusto che lo leggiate da voi.

Rowan è convinto che, agendo sulle persone giuste, alcuni meccanismi possano bloccarsi, e le cose possano migliorare.
E, alla fine dei conti, è lo stesso pensiero che fanno un po’ tutti, dal Thunderhead a Citra – lo ha fatto persino Goddard stesso – solo con obiettivi differenti.
Ancora una volta, a fare la differenza sono le implicazioni dei gesti compiuti dai personaggi, che valgono di più delle parole espresse, perché fanno da cardine a tutte le svolte più importanti.
Questo le rende capaci di veicolare emozioni. Di farci commuovere; di farci indignare; di farci sperare. Di empatizzare.

L’UOMO GIUSTO CHE È ANCHE QUELLO SBAGLIATO

In una storia dove tutto e l’opposto di tutto non hanno confini così netti, persino ciò che non è convenzionale diventa soggetto a stratificazione.

Mettiamo insieme un po’ di cose che abbiamo considerato finora: il concetto di fiducia, morale e coscienza personale al servizio di un ideale più alto; la concezione di colui che agisce fuori dagli schemi per un bene comune; gli ostacoli dovuti a freni burocratici imposti e invalicabili; l’obbligo di agire di rimbalzo per evitare cose ben peggiori che arrivano dirette.
Mescoliamo bene il tutto e avremo Greyson Tolliver.

Uno degli “strumenti” con cui il Thunderhead può giocare sporco ma in maniera pulita.

Il Thunderhead si fida ciecamente delle buone intenzioni di Greyson.
Non solo perché lo conosce benissimo, dato che ha un filo diretto con la sua coscienza – come del resto ce l’ha con (quasi) tutti gli altri esseri umani – ma anche perché, dato che i suoi genitori non si sono mai interessati più di tanto a lui, praticamente ha provveduto a crescerlo in prima “persona”.

(Tra l’altro, a proposito di nomi, Greyson – o anche nella variante Grayson – significa “figlio dell’amministratore” perché è la crasi delle parole “greyve” e “son”. O comunque ci fa anche pensare a qualcuno che è nato e cresciuto in una sorta di zona grigia. Volendo. Pensa un po’.)

Adoro Neal Shusterman, per queste cose…

Comunque.
Greyson Tolliver prova talmente tanta stima per ciò che il Thunderhead ha fatto per lui che decide di diventare uno dei suoi agenti Nimbus. Di essere una delle persone stipendiate alle sue dipendenze. Coloro attraverso cui il Thunderhead amministra gli esseri umani in sua vece.

Gli equivalenti delle falci in seno alla Compagnia, insomma.

E questo è interessante perché Thunderhead ci porta nuovamente a seguire un percorso di formazione, come avevamo fatto in Falce. In cui però l’addestramento è quasi esclusivamente esperienziale.

Infatti anche Greyson, allo stesso modo delle falci, intraprenderà un percorso accademico di “apprendistato”.
E allo stesso modo di Citra e Rowan questo percorso sarà tutt’altro che agevole e devierà inaspettatamente.

Perché il Thunderhead lo metterà davanti a una scelta.

Una di quelle toste, che porrà sul piatto della bilancia: l’essere un cittadino rispettabile e riconosciuto come tale da tutti, da una parte; e non esserlo sulla carta, pur essendolo davvero, dall’altra.

Il Thunderhead muoverà le proprie mosse perché Greyson diventi invisibile. E per contrapposizione lo farà proprio dandogli una lettera scarlatta che lampeggia sulla sua identità: diventerà a tutti gli effetti un Losco con la “L” maiuscola.
Invisibile perché platealmente emarginato.
Perché possa muoversi in tutte le zone d’ombra intessute nella società che lui governa, e che sono contrapposte a quelle ignare e in piena luce.
Perché possa prendere contatto con coloro che sono davvero pericolosi (per loro stessi e per gli altri), perché hanno insito il bisogno di ribellarsi. Di non omologarsi. Di sfogare ciò che di cattivo portano dentro.

E lì, Greyson diventerà solo. Solo con la propria morale. Solo con la consapevolezza personale di scegliere la cosa giusta, anche se nessuno può garantirgli che lo sia.
Essere migliore di molti altri senza ergere alcuno stendardo a confermarlo. O senza volerlo davvero dimostrare.

Rendersi semplicemente utili, perché è giusto così.

Vagliare la propria posizione, e il proprio disagio, in relazione ai benefici che potrebbe produrre. E affrontando con coraggio i costi correlati.
Accettando un percorso in salita che conduce in discesa.

E, soprattutto, rendersi conto di cosa significhi fare a meno della connessione con il Thunderhead perché lui con i loschi non ha contatto. Esattamente come non ne ha con le falci.

Greyson si troverà insieme a persone che rifiutano le leggi del Thunderhead. Che rifiutano di mettere a posto le loro psicosi, per indulgere in trasgressione. Ma anche che rifiutano il vantaggio delle cure rigenerative che il Thunderhead ha creato, solo perché credono al beneficio di “altro”. Della necessità del tempo naturale per lenire le ferite e di accogliere il dolore che la convalescenza comporta.

E tutto questo lo renderà diverso. Sia nei confronti di sé stesso, compiendo il proprio ARCO DI TRASFORMAZIONE, ma anche rispetto agli altri potenziali agenti Nimbus.
Lo renderà un apprendista non convenzionale.

Ancora più fedele perché, avendo fronteggiato la reale mancanza del Thunderhead, apprezza ancora di più il valore della sua presenza.

Greyson Tolliver diventa il simbolo dell’abnegazione.
Della fiducia incondizionata riposta, delle grandi aspettative a piccoli passi.
E diventa la terza punta del triangolo virtuoso insieme a Citra e Rowan.
Tre personalità che potrebbero fare la differenza. Pur essendo “solo” esseri umani.
Tre tessere di un domino che possono innescare una reazione a catena capace di elevare l’umanità al livello successivo.

Dunque.
Questo libro non è perfetto. L’abbiamo detto e abbiamo anche concettualmente capito perché.
Diciamo che anche la narrazione, rispetto a Falce, ha un punto di vista più saldo ma, pur essendo molto scorrevole alla lettura, privilegia tutto il comparto filosofico a dispetto di quello prettamente immersivo.

Ci sono alcune situazioni che si fanno fatica a visualizzare a dovere, perché è come se fossero davvero più abbozzate rispetto ad altri aspetti. Tralasciate a favore di altro.

Nonostante sia un romanzo che consiglio di leggere, questo è davvero un grande peccato.

Perché una gestione più attenta di questa ulteriore componente l’avrebbe davvero reso un gioiello splendente.
Il potenziale c’è davvero tutto.
Ai ragazzi delle nuove generazioni fa proprio bene indugiare un po’ nel genere di considerazioni e implicazioni contenute e intessute nella storia.

(Non che a quelli meno giovani faccia male, anzi…)

Rimango ancora più dell’idea che Neal Shusterman abbia creato un prodotto capace di ridisegnare un intero immaginario collettivo.
E questa non è un’impresa da poco. E adesso sono molto curiosa di sapere come chiuderà la trilogia.

Perché adesso sappiamo che il Thunderhead non sbaglia mai. Ma sappiamo che gli altri possono sbagliare a profusione.

E cosa succede se quelli su cui non ha potere sbagliano così tanto da farlo sentire tradito nel profondo?

Scopritelo. E fatemi sapere.

#NonRecensione   #ImpariamoInsieme

#PuntoDiVista     #CorrelativoOggettivo

#Falce   #Thunderhead

© Redazione Coffa ~ Erika Sanciu. Tutti i diritti riservati.

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