DESCRIZIONE DINAMICA,  DESCRIZIONE STATICA,  DESCRIZIONI,  IMPARIAMO INSIEME ~ TECNICHE NARRATIVE,  MOSTRARE

LA DESCRIZIONE: DOVE INIZIA? E DOVE FINISCE?

Come si costruisce una DESCRIZIONE funzionante?

Perché alcune non riusciamo proprio a digerirle?
E poi, servono davvero?

Cominciamo al rovescio: sì, le descrizioni sono uno dei pilastri che tengono in piedi una storia. Quindi sono necessarie a costruire colore e atmosfera di ciò che stiamo fruendo.
Contribuiscono a stimolare i nostri sensi e a generare un’idea individuale dei personaggi e degli scorci in cui è ambientata la storia.

Però, c’è un però.

Esistono due tipi di descrizioni:

  • le descrizioni STATICHE;
  • le descrizioni DINAMICHE.

La DESCRIZIONE STATICA è quella in cui viene descritto e menzionato ogni singolo particolare presente nel nostro campo visivo, come se stessimo guardando in maniera fissa uno scenario e ne facessimo il resoconto dettagliato.
Una sorta di inventario minuzioso.
Può essere l’inventario di un paesaggio, delle caratteristiche di un oggetto o di un atteggiamento.

È quella serie di informazioni che ci fa dire: «Oh, no, katsø! Un’altra descrizione sfrangiapalle di ventordici pagine!»
E può indurci a spegnere il cervello.

Infatti, una descrizione di questo tipo tendenzialmente ralleeeeenta tantiiiiissimo l’andamento del testo. Per di più, il cervello è pigro; lo è anche quello più zelante. Troppe informazioni tutte insieme gli fanno dire: “ok, cosa scartiamo?”
Va da sé che questo è un grosso problema, perché significa che si ottiene esattamente l’opposto di quello che volevamo ottenere.

C’è rimedio?

C’è.

  • Intanto, essere il meno astratti possibile.

Il cervello non si sofferma molto su un oggetto magnifico-interessante-particolare-stupefacente-incantevole-terrificante-orribile-mostruoso.
Il cervello ragiona in termini più oggettivi.
Capisce, e recepisce meglio, qualcosa a cui può attingere, perché l’ha già immagazzinato.

Sa cosa è “ruvido”, “rosso”, “leggero”, “arrugginito”, “metallico”, “stopposo”, “morbido”, “soffice”. Insomma, ha bisogno di capire PERCHÉ un oggetto è ritenuto meraviglioso o no.

Perché “meraviglioso” è la commistione di molteplici nozioni e suggestioni che sono diverse per ognuno di noi. La meraviglia è un fattore percettivo individuale, non comune a tutti quanti alla medesima maniera.

Il rosso, invece, è tendenzialmente rosso per (quasi) tutti.
(Salutiamo gli amici daltonici che ci stanno leggendo…)

Quindi, anche qui, i termini più aderenti e concreti hanno un impatto più vivido nella mente.

  • Preferire le descrizioni dinamiche a quelle statiche. E diluirle nel testo in modo che il cervello possa registrarle come parte integrante di ciò che sta vivendo.

Ma che cribbio è una DESCRIZIONE DINAMICA?

È una descrizione che si auto-manifesta nel corso di un’azione e che quindi impatta sui personaggi e sull’ambiente.

È nel pacchetto base del MOSTRARE.
Tendenzialmente, significa prendere una parola come “disgustoso” e farci capire perché lo è, spacchettandola.

Se sappiamo che un portone è enorme, pesante, e indistruttibile, vedere che sono necessarie quattro persone per aprire i battenti, sentire i cardini lamentarsi, e vedere i segni delle asce e degli arieti che ci sono rovinati sopra inutilmente può sicuramente assolvere allo stesso compito. Anche con alcuni vantaggi in più.

In primo luogo, il nostro cervello costruirà un’idea di quello “specifico” portone che sarà difficile da dissolvere o da ignorare.
In più ci darà dei riferimenti spaziali concreti, rendendo più semplice collocare i personaggi nel contesto.
Dulcis in fundo, non appesantirà la lettura perché le informazioni saranno diluite e risulteranno più fruibili, favorendo il ritmo.

È necessario descrivere tutto?

No.

Bisogna imparare a far gioco di squadra con il lettore.
Perché una storia non deve essere subita, deve essere vissuta. E questo comporta la cooperazione di chi la fruisce.

Quindi bisogna saper scegliere i particolari più adatti, necessari a evocare ciò che abbiamo in mente, ma lasciando al lettore lo spazio per metterci qualcosa di suo.

Per questo, Stephen King dice che la descrizione dovrebbe cominciare nella capoccia dell’autore e completarsi in quella del lettore.

Che non vuol dire che il lettore deve essere abbandonato dall’autore e deve fare l’80% della fatica.
Vuol dire che è più interessante quando l’autore fa il 70% del lavoro e il fruitore fa il restante 30%.

Esistono casi in cui una descrizione puntigliosa e statica è efficace?

Sì.
Proprio quando si vogliono creare effetti specifici e mirati.
Per esempio se abbiamo personaggi che per loro peculiarità sono molto attenti ai dettagli, o nel caso in cui debbano dimostrare di essere in grado di conoscere delle nozioni specifiche e complesse. O anche nel caso in cui, per esempio, la quantità di informazioni deve essere tale da instillare un senso di soffocamento o disgusto nel lettore.

Mi viene in mente uno stralcio di “Alieni coprofagi dallo spazio profondo” di Marco Crescizz, in cui il protagonista obeso è alla cassa del supermercato e posiziona la spesa sul nastro. In quel caso, fare l’elenco di TUTTO quello che mette sopra contribuisce a infoltire sia il senso comico che quello rivoltante del gesto compiuto.

Le descrizioni vanno valutate bene, perché sono un’arma a doppio taglio. Possono elevare un testo, ma possono anche renderlo tremendamente insopportabile.

Tenetevi a mente due domande mentre scrivete:

  • Posso spacchettarla e renderla dinamica?
  • A cosa mi serve davvero?

#descrizionestatica

#descrizionedinamica

#mostrare

#impariamoInsieme

#unprocionealgiorno…

Ci sono descrizioni che vi sono piaciute particolarmente?
Fatemelo sapere!

© Redazione Coffa ~ Erika Sanciu. Tutti i diritti riservati.

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