COERENZA,  DALLA COFFA CON FURORE,  DETTAGLI E INFORMAZIONI,  EDITING,  IMPARIAMO INSIEME ~ TECNICHE NARRATIVE,  NARRATORE E NARRAZIONE,  PERSONAGGI,  PUNTO DI VISTA,  SCRIVERE MEGLIO,  UN PROCIONE AL GIORNO

LINE EDITING: UNA DIMOSTRAZIONE DEL LAVORO FRA AUTORE E EDITOR

 

Proseguiamo il lavoro di LINE EDITING sul prologo de La singolarità dell’asteroire binario de Gli amanti di Sisifo (versione ragazzi) di James F. L. Keeric:

 

Jack

Jack si appiattì alla parete(1) e lanciò un’occhiata lungo il corridoio;(2), il profumo di menta dei nuovi filtri della sua tuta faceva a cazzotti con l’odore acre del suo sudore. «Andiamo, andiamo, andiamo!» Il portellone della camera d’equilibrio si stava aprendo(3) con una lentezza che ora gli sembrava(4) estenuante.

 
«Al diavolo!» Appena ci fu lo spazio sufficiente Jack vi si infilò di lato(5), strisciando con la schiena sullo stipite.
 
Fece due passi in avanti verso il centro della piccola camera, agganciando gli stivali magnetici al pavimento e trascinandosi dietro le due reti(6) che si era portato. (7)La piastra magnetica che le ancorava al suolo grattò sul metallo. Dentro ci aveva messo viveri per tre giorni e due bombole d’ossigeno: gli sarebbero bastati fin dopo la partenza, e non aveva bisogno di altro. Si spostò verso l’oblò che dava all’esterno in attesa che terminasse il ciclo di depressurizzazione.(8)
 
Eccola.
 
La sagoma nera dell’astronave occupava tutta la parte inferiore del suo campo visivo. La parte alta, invece, era governata dall’immagine di una splendida(9) Terra(10) che, avvolta nella sua sottile ed evanescente atmosfera, mostrava il continente africano ancora parzialmente immerso nel buio. In mezzo, però,(11) c’erano le stelle. Ed era lì che avrebbe trovato conforto ai suoi dubbi, non certo rimanendo sulla Base Alta.
 
Ed ecco dove voglio andare.(12)
 
Il secondo portellone si aprì ancora più lentamente del primo. Jack uscì e si fermò un istante sulla passerella di manutenzione. Una sensazione di angoscia insistente lo avvolse. Ggli riempì il ventre di un’urgenza, e di un timore, che gli tolsero lucidità e lo lasciòarono avvolto in uno stato di confusione. Si guardò attorno come se stesse sempre(13) per accadere qualcosa di ostile(14), di pericoloso. La sSentiva quella cosa(15) ovunque, allo stesso modo del vuoto assoluto che c’era lì, intornoa lui.
 
Alle sue spalle la camera d’equilibrio si richiuse senza rumore ma dentro, Jack, aveva un gran casino.(16) Il suo respiro era affannoso, il suo cuore batteva all’impazzata e la sua mente era messa anche peggio: continuava a dirsi che era la cosa giusta, che andava fatta, che avrebbe trovato la pace, lì fuori. Ma aveva anche la sensazione che tutte quelle affermazioni stessero assumendo i maldestri contorni dell’autoconvincimento.(17)
 
(18)Stava lasciando delle persone che gli avevano voluto bene, che lo avevano accudito amorevolmente, che lo avevano ascoltato quando aveva bisogno di parlare, ma tutto si apriva e si chiudeva in quel semplice contesto. Non era arrabbiato con loro, non sentiva nessun astio contro quelle persone, solo che ora, tutto quello che aveva lì, sulla base, non gli bastava più.(19)
 
Jack deglutì quella sensazione di sbagliato che aveva accompagnato ognuno dei suoi tentativi di fuga, prese le due reti e le spinse sulla chiglia della Titans, così gli avevano detto chiamarsi(20).(21) Conosceva alcuni degli operai che ci lavoravano e dalle informazioni che gli avevano dato sarebbe rimasta lì un altro giorno, poi sarebbe dovuta partire diretta verso il sistema di Marte. Aveva poco tempo prima che iniziassero il carenaggio(22)a lavorare sullo scafo di quel vecchio cargo e che Ferdinand, a bordo del suo ragno, iniziasse a scandagliare il ferro meteorico di cui era fatto a caccia di micro-falle e detriti. Doveva fare in fretta;, questa volta doveva riuscire a scappare.
 
Jack si assicurò che gli stivali si agganciassero alla chiglia e avanzò spedito verso il portellone di manutenzione che aveva individuato. Si guardò intorno, le luci della base iniziavano ad accendersi. Ooltre il bordo scuro della nave ora scorgeva gli anelli abitativi che ruotavano lenti, lo stavano facendo ininterrottamente da oltre un secolo. Le luci della base iniziavano ad accendersi. Le gru esterne del cantiere portuale iniziavano a muoversi. Sullo scafo dell’astronave ancorata all’hangar vicino, lo scintillio di una saldatrice stava a indicare che i lavori erano già iniziati.(23)
 
Arrivò davanti al portellone di manutenzione.(24) L’osservò con attenzione.
 
Perfetto. È un vecchio modello, questo lo apro a occhi chiusi.
 
Doveva solo prestare attenzione ai sensori, all’equipaggio sarebbe dovuto sembrare un piccolo guasto momentaneo, il contatto casuale di un sensore difettoso, come tanti altri doveva averne un’astronave vecchia(25) come quella.
 
Jack si inginocchiò(26), prese la chiave universale, smontò l’alloggiamento del led di segnalazione e bypassò l’impulsoil segnale del sensore di chiusura del portellone: all’interno sarebbe sembrato sigillatotutto chiuso anche se quel portellone fosse stato spalancatoaperto. Jack richiuse tutto(27) e cominciò a ruotare la maniglia di apertura. La luce si spense ma ora sapeva che per l’equipaggio sarebbe risultata accesa.(28) Aprì il portellone(29), guardò all’interno. Dava sull’intercapedine tra la chiglia e la parete interna della nave. Uno strato d’acciaio di quattro centimetri di spessore lo proteggeva dall’esterno, e una parete di metallo più sottile, ma con trenta centimetri di isolante, lo separava dall’interno: lì in mezzo sarebbe stato bene. Lanciò dentro le reti con i viveri e le bombole d’aria che avrebbe utilizzato per pressurizzare quello spazio appena la nave fosse partita, poi chiuse il portellone.
 
Andrà tutto bene, vedrai.
 
Jack accese le luci del casco e illuminò l’antro nel quale si era appena rinchiuso. Largo poco più di un metro, si allungava verso il basso per circa il triplo di quella distanza. Ai lati, due pareti portanti di ferro meteorico grezzo andavano a delimitare uno spazio ristretto. Escludendo il portellone che dava verso l’interno della nave, tutto gli ricordava l’armadio di zia Elen dove si nascondeva da bambino. Digitò sul monitor della tuta che aveva sull’avambraccio. Aveva ossigeno ed energia per altre dodici ore, poi si sarebbe attaccato ad una delle due bombole che aveva con lui. Cercò con lo sguardo una presa di manutenzione dove ricaricareavrebbe ricaricato le batterie della tuta e si ancorò con un moschettone a un gancio di supporto, lasciandosi galleggiare leggero. Chiuse gli occhi: ora non gli restava che attendere.
 
La mente lo portò ancora da zia Elen, ma anche da Vasily, da zio Chan, piuttosto che a un’altra delle persone che lo avevano accudito negli anni. Era un vero peccato che non lo avessero fatto partire prima di allora, che ogni volta avessero trovato una scusa per farlo restare lì, che ora si trovasse costretto a tentare la fuga di nuovo.(30) Si ricordò delle due settimane che aveva passato nelle vasche di riciclo l’ultima volta che lo avevano beccato mentre scappava.
 
Aveva diciott’anni ormai, e un sacco di domande che cercavano risposta.
 
«Sì, Jack, andrà tutto bene» disse a voce alta(31). Ascoltò l’eco di quelle parole rimbalzare nella sua mente, sperando che questo sciogliesse quell’angoscia che continuava a rimbombargli nelle budella.
 
Stai facendo la cosa giusta.
 
Ora doveva solo aspettare che quel rottame si mettesse in viaggio, questa volta non l’avrebbero beccato.
(1)

Di cosa? Cerca di evitare le informazioni vaghe.

(2)

Metterei il punto e virgola per avere una pausa maggiore. Visto che le due parti della frase non sono esattamente consecutive razionalmente.

(3)

Sai che si può potenziare anche questo? Come si sta aprendo? Verso l’alto? Scorre lateralmente? Oppure è tipo un portellone basculante che si sta inclinando?

Farci capire COME si sta aprendo ci aiuta a visualizzare come Jack interagisce con lo spazio. ^_^

(4)

Valuta se tenere questo, io lo leverei perché non è necessario: il fatto che gli sembri lentissimo è implicito nella battuta che ha detto.

(5)

Questo si può potenziare ancora un po’.
Al momento abbiamo una battuta di imminenza, che trasmette velocità e fretta, ma è seguita da una frase che rallenta l’azione. Infatti: “Appena ci fu lo spazio sufficiente” dilata il tempo, ci dà l’impressione che ci sia un’ulteriore attesa, quando già sappiamo che il portellone si sta aprendo con una lentezza estenuante.
Quel senso di lentezza già lo abbiamo, è un’azione che si protrae nel tempo, quello che ci interessa adesso è vedere la reazione di Jack a quello stimolo oggettivo esterno.

“Jack si infilò di lato nello spazio appena sufficiente, torse la spalla e il collo e strisciò con la schiena contro lo stipite.”

(6)

Sai che credo che ci sia un po’ di vaghezza riguardo a queste reti?
Perché si possono immaginare sia come dei sacchi di rete flosci, che come delle “ceste” rettangolari o quadrate che sembrano tipo carrelli merci.

Credo che servirebbero degli elementi più chiari, disseminati nel testo che ci facciano capire la loro “forma”, così il lettore è in grado di percepire meglio la scena.

(7)

Qui andrebbe inserita la chiusura della porta. Vedi commento successivo.

(8)

Ok, questa frase ci fa capire che manca qualcosa: Jack dovrebbe richiudere il portellone. Ti spiego: il portellone si apre con lentezza estenuante, tanto che lui non ha voglia di aspettare che lo faccia completamente, e sceglie di infilarsi nello spazio che è appena sufficiente, per accelerare il processo di entrata.

Questo presuppone che non abbia nemmeno voglia di aspettare che il portellone si apra tutto e che poi si richiuda tutto. Perché significa che deve aspettare del tempo ulteriore, e che potrebbe essere fatale per la sua fuga. A cui va sommato il tempo per la depressurizzazione.

La cosa migliore sarebbe che appena lui è entrato, si trascini dietro le reti e schiacci un comando che richiuda subito la porta senza aspettare che continui ad aprirsi. Così il processo di depressurizzazione può avvenire contestualmente alla tempistica della narrazione. ^_~

(9)

Secondo me dovresti spacchettare questo aggettivo. Perché splendida? Cosa la rende tale? Cosa gliela fa percepire così? Dammi gli occhi di Jack e concentrati su particolari concreti che mi veicolino quella sensazione.

(10)

Per “immagine”: non è un cartonato della Terra. È proprio la Terra.

Io farei in modo che l’aggettivo splendida venga legato a una considerazione di Jack, invece che alla descrizione del pianeta.

“La parte alta, invece, era governata dalla Terra che, avvolta nella sua sottile ed evanescente atmosfera, mostrava il continente africano ancora parzialmente immerso nel buio.”

Già questo basterebbe a far dire: “Beh, wow!”

Lo splendido è implicito in quello che mi ha fatto percepire.
Ma se non vuoi separarti dall’aggettivo, a quel punto io lo metterei dopo il punto della frase. Dopo “buio”.

“La parte alta, invece, era governata dalla Terra che, avvolta nella sua sottile ed evanescente atmosfera, mostrava il continente africano ancora parzialmente immerso nel buio. Splendida. Ma in mezzo, però, c’erano le stelle. Ed era lì che avrebbe trovato conforto ai suoi dubbi (…)”

In questo modo, passa il concetto che Jack ne capisce la bellezza, che è in grado di apprezzarla ma che, per quanto sia appetibile e riempia gli occhi, lui ha “bisogno” di “altro”.

(11)

Mi sembra una buona scelta.

(12)

Con i cambiamenti che hai apportato, forse qui ci starebbe meglio qualcosa che incarni lo “Sto arrivando.”

Come una promessa verso l’ignoto.
Considera che la frase precedente dice espressamente che cercherà nell’ignoto le risposte che vuole.
Quindi un commento che dimostri la sua determinazione, ci convince dello spessore della sua intenzione. ^_^

(13)

Le tempistiche non giustificano l’uso del “sempre”: è fuori dal portellone da pochissimi secondi.

(14)

Questo è vago. Qualcosa cosa? Non si teme qualcosa di indefinito. Si teme qualcosa di specifico.
I “qualcosa” difficilmente sono cose che non possono essere specificate.

(15)

“quella cosa” cosa?

È vago.

(16)

Mi piace la contrapposizione. È un peccato che ci siamo persi per strada il bip della tuta, perché abbiamo rinunciato a un suono percepibile. Abbiamo modo di inserirlo senza perdere l’intento?

(17)

Questo è il narratore invadente. E potresti spacchettare, mostrandolo. Se lo continua a ripetere? Faglielo ripetere. Aiuterà il lettore a capire il suo grado di disagio interiore e autoconvincimento.

Considera anche che non è la prima fuga che tenta di fare, quindi ok la paura, ma non facciamolo andare completamente in confusione, visto che ci è già passato.

(18)

“Che sto facendo? Sto lasciando persone che mi vogliono bene per morire nello spazio. Cosa c’è di sbagliato in me? Mi hanno accudito, mi hanno ascoltato e li ripago così… Non ce la farò mai. No, non è vero. Posso farcela. Sì. Posso. Devo. Oddio, mi uccideranno, se lo scoprono…”

Trasforma la confusione in un pensiero sconnesso, diviso fra il tornare indietro e l’andarsene, facendo in modo che sembri autoconvincimento.

(19)

È già meglio e si capisce l’intento, ma teniamola in stand-by.

Secondo me, aggiustando alcune cose, potrebbe diventare implicito. Specialmente lavorando sui pensieri di Jack, al momento in cui esce dal portellone.

(20)

Questo pezzetto si può togliere perché anticipa la spiegazione sugli operai. È presumibile che da loro abbia avuto l’informazione sul nome.

(21)

C’è qualcosa che non mi torna: lui esce dal portellone di una banchina, credo, a cui la nave è attraccata.
La passerella di manutenzione a cui è ancorato è quella della banchina, non quella della nave, giusto?
Come passa da una struttura all’altra? Ci sarà un qualche tipo di gap, no?

In fin dei conti, dici che la parte bassa del suo campo visivo era occupata dalla nave. Quindi vuol dire che c’è dello “spazio” fra il posto in cui si trova ora e quello in cui vorrebbe andare (la chiglia della nave).

(22)

Sostituendo con “carenaggio”, togliamo il verbo vago “lavorare” e una delle ripetizioni di “chiglia e scafo”, visto che il carenaggio, in marina, è proprio l’operazione di riparazione e ripulitura degli scafi e delle carene.

Con una parola sola richiamiamo quello specifico tipo di lavoro. E con la spiegazione di Ferdinand con il ragno sappiamo cosa comporti in quello specifico contesto.

(23)

C’è modo di togliere la ripetizione di “iniziare”?

(24)

Lo cambierei con “boccaporto”.

(25)

Serve?

(26)

Metterei “In ginocchio”, così eviti di ripetere Jack.

(27)

Tutto cosa?

(28)

Ho cambiato alcune parole per evitare le ripetizioni di aperto, chiuso, segnali-segnalazioni.

(29)

Lo cambierei con “boccaporto” o lo toglierei direttamente.

“Aprì, e guardò all’interno”.

(30)

L’intento è buono, ma lo potenzierei.

In fin dei conti “CHI” considera che sia un peccato? Il narratore?
Questa frase andrebbe resa più personale.

“Le domande accumulate in diciott’anni attendevano risposta.
Il tempo delle scuse per trattenerlo lì ancora era finito.”

Questo è solo un esempio, ovviamente. Trova il modo tuo per rendere personale quella sentenza, senza che trapeli troppo il giudizio del narratore.

(31)

Lo toglierei e metterei il punto interno ai caporali.

 

 

 

 
 
 
 
 

A ogni passaggio, è interessante vedere come i nuovi elementi inseriti creino nuove domande sempre più aderenti e specifiche.

Come se la posta in gioco venisse alzata, e tutto venisse portato su un livello più alto di attenzione. Si fa caso a tutto: alle ripetizioni, ai termini usati, al ritmo, al flusso di testo, all’aderenza con il PUNTO DI VISTA e con la VOCE dell’AUTORE IMPLICITO, alla specificità delle informazioni, alle percezioni sensoriali, alle sfumature insite nella disposizione delle parole.
In questa fase, l’EDITOR ha il dovere di non tralasciare nulla perché, adesso che la rotta è impostata, ci si sposta gradualmente dal “macro al micro”.

Il brano deve fluire come acqua, mentre si sta leggendo; idealmente, nulla deve sbatterti fuori dalla narrazione e niente dovrebbe risuonare come un campanello d’allarme in chi fruisce il testo.

Per questo, nella fase successiva, ho evidenziato anche tutte le volte che venivano menzionate le fughe precedenti o l’intenzione della fuga. Perché stavano diventando troppe e rischiavano di far perdere al brano di freschezza; e di indispettire il lettore che poteva cominciare a dire: “Sì, ok, va bene. Ho capito che è già scappato e che l’hanno riacciuffato; non sono scemo.”

Proseguiamo:

 

Jack

Jack si appiattì alla ruvida parete della base(1) e lanciò un’occhiata lungo il corridoio; il profumo di menta dei nuovi filtri della sua tuta faceva a cazzotti con l’odore acre del suo sudore. «Andiamo, andiamo, andiamo!» Il portellone della camera d’equilibrio si stava aprendo verso l’interno con una lentezza estenuante.

«Al diavolo!» Appena ci fu lo spazio sufficiente, Jack tirò in dentro la pancia, come se questo potesse farlo diventare più magro di quello che era anchenonostante con la tuta(2) e vi si infilò di lato, strisciando con la schiena sullo stipite.

Fece due passi in avanti verso il centro della piccola camera, agganciando gli stivali magnetici al pavimento e trascinandosi(3) dietro le due reti da trasporto a maglie strette(4) che si era portato. La piastra magnetica che le ancorava al suolo grattò sul metallo. Dentro ci aveva messo viveri per tre giorni e due bombole d’ossigeno: gli sarebbero bastati fin dopo la partenza, e non aveva bisogno di altro. Diede una manata al grosso tasto rosso che comandava la chiusura del portellone e sSi spostò verso l’oblò che dava all’esterno, in attesa che terminasse il ciclo di depressurizzazione.

Eccola.

La sagoma nera dell’astronave occupava tutta la parte inferiore del suo campo visivo. La parte alta, invece, era governata dall’immagine(5) delladi una splendida Terra che, avvolta nella sua sottile ed evanescente atmosfera, mostrava il continente africano ancora parzialmente immerso nel buio. Splendida. Ma iIn mezzo, però, c’erano le stelle. Ed era lì che avrebbe trovato conforto ai suoi dubbi, non certo rimanendo sulla Base Alta.

Ed ecco dove voglio andareAspettatemi, sto per volare da voi.

Il secondo portellone si aprì ancora più lentamente del primo. Jack uscì e si fermò un istante sulla passerella di manutenzione. Una sensazione di angoscia insistente gli riempì il ventre di un’urgenza, e di un timore, che gli tolse lucidità e lo lasciò avvolto in uno stato di confusione. Si guardò attorno come se stesse peraccadere qualcosa di ostile e pericoloso piombargli addosso un meteorite.(6) Ssentiva quella sensazione(7) di rischio e disagio ovunque, come se il vuoto che lo circondava ne fosse, in realtà, intrisoallo stesso modo del vuoto assoluto che c’era lì, intorno.

Un bip della tuta lo avvisò che aAlle sue spalle(8) la camera d’equilibrio si era richiusaesenza rumore(9), ma dentro, Jack, aveva un gran casino. Il suo respiro era affannoso, il suo cuore batteva all’impazzata e la sua mente era messa anche peggio: «CalmatiOra vai Jack(10), stai facendo la cosa giusta.»

Stava lasciando delle persone che gli avevano voluto bene, che lo avevano accudito amorevolmente, che lo avevano ascoltato quando aveva bisogno di parlare, ma tutto si apriva e si chiudeva in quel semplice contesto. Non era arrabbiato con loro, non sentiva nessun astio contro di loro quelle persone, solo che ora, tutto quello che aveva lì, sulla base(11), non gli bastava più.

Jack deglutì quella sensazione di sbagliato che aveva accompagnato ognuno dei suoi tentativi di fuga.,

Pprese le due reti e le spinse scese la scala a pioli che lo portò sulla chiglia(12) della Titans. Conosceva alcuni degli operai che ci lavoravano e:(13) dalle informazioni che gli avevano dato sarebbe rimasta lì un altro giorno, prima dipoi sarebbe dovuta partire diretta verso il sistema di Marte(14). Aveva poco tempo prima che iniziassero il carenaggio di quel vecchio cargo e che Ferdinand, a bordo del suo ragno, iniziasse a scandagliare il ferro meteorico di cui era fatto a caccia di micro-falle e detriti. Doveva fare in fretta; questa volta doveva riuscire a scappare.

Jack si assicurò che gli stivali si agganciassero alla chiglia e avanzò spedito verso il portellone di manutenzione che aveva individuato. Si guardò intorno, oltre il bordo scuro della nave scorgeva gli anelli abitativi che ruotavano lenti, ininterrottamente, da oltre un secolo. Le luci della base iniziavano ad accendersi. Le gru esterne del cantiere portuale, a muoversi. Sullo scafo dell’astronave ancorata all’hangar vicino, lo scintillio di una saldatrice indicava stava a indicare che lì,qualcuno era gli operai, erano(15) già al lavoroi lavori erano già iniziati.

Arrivò davanti al boccaportoportellone di manutenzione. L’osservò con attenzione.

Perfetto. È un vecchio modello, questo lo apro a occhi chiusi.

Doveva solo prestare attenzione ai sensori, all’equipaggio sarebbe dovuto sembrare un piccolo guasto momentaneo, il contatto casuale di un sensore difettoso, come tanti altri doveva averne un’astronave vecchia come quella.

In ginocchioJack si inginocchiò, prese la chiave universale, smontò l’alloggiamento del led di segnalazione e bypassò l’impulso del sensore di chiusura del portellone: all’interno sarebbe sembrato sigillato anche se fosse stato spalancato. Jack riassemblòrichiuse tutto(16) e cominciò a ruotare la maniglia di apertura. La luce si spense ma ora(17) sapeva che in plancia per l’equipaggio(18) sarebbe risultata accesa. Aprì e il portelloneguardò all’interno. Dava sull’intercapedine tra la chiglia e la parete interna della nave. Uno strato d’acciaio di quattro centimetri di spessore lo proteggeva dall’esterno, e una parete di metallo più sottile, ma con trenta centimetri di isolante, lo separava dall’interno: lì in mezzo sarebbe stato bene. Lanciò dentro le reti con i viveri e le bombole d’aria che avrebbe utilizzato per pressurizzare quello spazio appena la nave fosse partita, poi chiuse il portellonee ci si barricò.(19)

Andrà tutto bene, vedrai.

Jack accese le luci del casco e illuminò l’antro nel quale si era appena rinchiuso. Largo poco più di un metro, si allungava verso il basso per circa il triplo di quella distanza. Ai lati, due pareti portanti di ferro meteorico grezzo andavano a delimitare uno spazio ristretto. Escludendo il portellone che dava verso l’interno della nave, tutto gli ricordava l’armadio di zia Elen dove si nascondeva da bambino. Digitò sul monitor della tuta(20) che aveva sull’avambraccio. Aveva ossigeno ed energia per altre dodici ore, poi si sarebbe attaccato a una delle due bombole che aveva con lui.(21) Cercò con lo sguardo una presa di manutenzione dove ricaricare le batterie della tuta e si ancorò con un moschettone a un gancio di supporto, lasciandosi galleggiare leggero. Chiuse gli occhi: ora non gli restava che attendere.

La mente lo portò ancora da zia Elen, ma anche da Vasily, da zio Chan, piuttosto che a un’altra delle persone che lo avevano accudito negli anni. Era un vero peccato che non lo avessero fatto partire prima di allora, che ogni volta avessero trovato una scusa per farlo restare lì, che ora si trovasse costretto a tentare la fuga di nuovo. Si ricordò delle due settimane che aveva passato nelle vasche di riciclo l’ultima volta che lo avevano beccato mentre scappava.

Aveva diciott’anni ormai, e un sacco di domande che cercavano risposta.

«Sì, Jack, andrà tutto bene.»disse a voce alta. Ascoltò l’eco di quelle parole rimbalzare nella sua mente, sperando che questo sciogliesse quell’angoscia che continuava a rimbombargli nelle budella.

Stai facendo la cosa giusta.

Ora doveva solo aspettare che quel rottame si mettesse in viaggio, questa volta non l’avrebbero beccato.

(1) 

Purtroppo rimane lo stesso problema, perché “base”, se non conosci il contesto, è una parola che richiama una miriade di potenziali collegamenti mentali. Può essere la base di un triangolo, la base di una torta, la base militare in Minnesota, la base degli alieni che stanno per conquistarci. Però, per esempio, se riesci a dare una connotazione univoca, che ci inserisca nella realtà di Jack, tutto prende una piega diversa.
Ti faccio un esempio:

Jack si appiattì alla parete in ombra dell’hangar 5 e lanciò un’occhiata lungo il corridoio.

Jack si appiattì alla parete metallica del condotto di manutenzione deserto e lanciò un’occhiata lungo il corridoio.

Jack si appiattì contro il bocchettone di aerazione del comparto scarico merci e lanciò un’occhiata lungo il corridoio.

Ognuna di questa affermazioni mi dice che Jack è collocato in uno spazio specifico che lui conosce e con il quale interagisce.

Il lettore riesce a capire che cosa sia un hangar, una parete in ombra, un condotto di manutenzione e via dicendo. E già si immagina il “tipo” di ambientazione generale in cui deve immaginare la scena. ^_^

(2)

Questa ripetizione possiamo toglierla? Sarebbe meglio.

(3)

Allora, qui possiamo fare in modo di dare più focus a questa sequenza di azioni.
Se pensi alle azioni contenute, la prima cosa che fa Jack è agganciare gli stivali, e contemporaneamente fa i passi in avanti e si porta al centro della camera trascinando con sé anche le reti.

Però, mettendo “fece due passi in avanti” all’inizio della frase, ti lasci volutamente alle spalle quei movimenti sommersi, che hai “trascurato” e messo in secondo piano per dare risalto al fatto che si porti al centro della camera.

Secondo me, potresti provare a ristrutturare la frase, in modo che si capisca il reale svolgersi cronologico delle azioni, in modo che il lettore non debba rimmaginarsi a ritroso le azioni che sono state lasciate sommerse, per poi essere evocate dal gerundio a posteriori.
Pensa a cosa fa Jack immediatamente dopo essere passato dallo spazio stretto e parti da quello.
Probabilmente la cosa che fa subito dopo essere entrato è tirarsi dietro le reti. O agganciare gli stivali magnetici al pavimento.

Togliere i gerundi potenzierebbe la fruizione della scena, ma valuta tu se e come ne valga la pena, senza inficiare il ritmo.

(4)

Meglio!

(5)

Questo mi sa ancora un po’ di posticcio e lo toglierei, ma è già meglio rispetto a prima.

Ho tolto “di una” perché non ci sono altri pianeti che si chiamano Terra fra cui scegliere, quindi la preposizione giusta è “della”.

(6)

Molto meglio.

(7)

Troviamo un sinonimo per togliere la ripetizione.

(8)

Se lo lasci qui, magari mettilo fra le virgole in un inciso e metti un punto e virgola dopo rumore per accentuare la differenza fra le due pause. Altrimenti puoi mettere questa parte dopo “equilibrio”, ma il concetto di lasciarsi alle spalle qualcosa, si perde dentro la trama della frase e diventa solo una questione di posizione nello spazio, rispetto a Jack.

Valuta tu.

(9)

Forse sarebbe meglio “nel totale silenzio” perché è sempre meglio scrivere ciò che c’è piuttosto che ciò che non c’è.

Se dici “senza rumore” sono costretta a immaginarmi prima un “rumore” e poi a metterci un divieto sopra. Se metti direttamente che tutto avviene nel silenzio, il silenzio permane.

(10)

Eliminiamo un Jack per limitare le ripetizioni.^_~

(11)

Non serve.

(12)

Bene.^_^

(13)

Metterei i due punti per rendere implicito il senso di raccolta delle informazioni che stai “elencando” che poi sono le stesse che gli permettono di sceglierla come nave giusta.

(14)

È una sfumatura, ma mettere prima, invece che poi, mantiene il senso di resoconto fatto dagli operai.

(15)

Evitiamo la ripetizione di operai.

(16)

Tutto cosa?

(17)

Lo sapeva anche prima, è per questo che l’ha fatto.^_~

(18)

Per togliere la ripetizione di equipaggio.

(19)

Questa frase la leverei a beneficio di quella evidenziata nel commento successivo, e per togliere la ripetizione di “portellone”.

(20)

È implicito che sia nella tuta.^_^

(21)

Questa frase è migliore di: “che avrebbe utilizzato per pressurizzare quello spazio…”

Terrei questa è toglierei l’altra: ripetono lo stesso concetto, ma questa è specifica e meno vaga.

 

 

 

 

 

 

 
 
 
 

Siamo in dirittura d’arrivo. Rimangono le sfumature da sistemare:

 
 

Jack

Jack si appiattì alla ruvida parete consumata dell’attracco di manutenzione undici e lanciò un’occhiata lungo il corridoio. Erano le cinque del mattino e il porto era ancora deserto.(1) Prese un respiro carico d’impazienza sentendo il profumo di menta dei nuovi filtri della sua tuta(2), nella quale si era già chiuso(J1),faceva fare a cazzotti con l’odore acre(3) del suo sudore. «Andiamo, andiamo, andiamo!» Il portellone della camera d’equilibrio si stava aprendo verso l’interno con una lentezza estenuante.(4)

«Al diavolo!» Appena ci fu lo spazio sufficiente, Jack tirò in dentro la pancia che non aveva(5), come se questo potesse farlo diventare più magro sottile nonostante la tuta, e vi si infilò di lato, strisciando con la schiena sullo stipite.

Fece due passi in avanti verso il centro della piccola camera, con agganciando gli stivali magnetici che si agganciavano al pavimento ad ogni passo,(6) e si trascinòandosi dietro le due reti da trasporto a maglie strette che si era portato. La piastra magnetica che le ancorava al suolo grattò sul metallo. Dentro ci aveva messo viveri per tre giorni e due bombole d’ossigeno: gli sarebbero bastati fin dopo la partenza, e non aveva bisogno di altro. Diede una manata al grosso tasto rosso che comandava la chiusura del portellone e si spostò verso l’oblò che dava all’esterno, in attesa che terminasse il ciclo di depressurizzazione.

Eccola.

La sagoma nera dell’astronave occupava tutta la parte inferiore del suo campo visivo. La parte alta, invece, era governata dall’immagine della dalla Terra che, avvolta nella sua sottile ed evanescente atmosfera, mostrava il continente africano ancora parzialmente immerso nel buio. Splendida. Ma in mezzo, però, c’erano le stelle. Ed era lì che avrebbe trovato conforto ai suoi dubbi, non certo rimanendo sulla Base Alta.

Aspettatemi, sto per volare da voi.

Il secondo portellone si aprì ancora più lentamente del primo. Jack uscì e si fermò un istante sulla passerella di manutenzione. Una sensazione di angoscia insistente gli riempì il ventre di un’urgenza, e di un timore, che gli tolse lucidità e lo lasciò avvolto in uno stato di confusione. Si guardò attorno come se stesse per piombargli addosso un meteorite. Sentiva quella sensazione quel senso di rischio e disagio ovunque, come se avesse sostanza,(J2) come se il vuoto che lo circondava ne fosse, in realtà, intriso.

Un bip della tuta lo avvisò che, alle sue spalle, la camera d’equilibrio si era richiusa nel totale silenzio; senza rumore, ma dentro, Jack, aveva un gran casino. Il suo respiro era affannoso, il suo cuore batteva all’impazzata e la sua mente era messa anche peggio: «Calmati, stai facendo la cosa giusta.»

Stava lasciando delle persone che gli avevano voluto bene, che lo avevano accudito amorevolmente, che lo avevano ascoltato quando aveva avuto bisogno di parlare, ma tutto si apriva e si chiudeva in quel semplice contesto. Non era arrabbiato, non sentiva nessun astio contro di loro, solo che ora, tutto quello che aveva lì, sulla base, non gli bastava più.

Jack deglutì quella sensazione di sbagliato che aveva accompagnato ognuno dei suoi tentativi di fuga.

Prese le due reti e scese la scala a pioli che lo portò sulla chiglia della Titans. Conosceva alcuni degli operai che ci lavoravano: dalle informazioni che gli avevano dato sarebbe rimasta lì un altro giorno, per ripartire prima di partire(7) verso il sistema di Marte. Aveva poco tempo prima che iniziassero il carenaggio di quel vecchio cargo e che Ferdinand, a bordo del suo ragno, iniziasse a scandagliare il ferro meteorico di cui era fatto a caccia di micro-falle e detriti. Doveva fare in fretta;. questa volta doveva riuscire a scappare.(8)

Jack si assicurò che gli stivali si agganciassero alla chiglia e avanzò spedito verso il portellone di manutenzione che aveva individuato. Si guardò intorno. Oltre il bordo scuro della nave scorgeva gli anelli abitativi che ruotavano lenti, ininterrottamente, da oltre un secolo. Le luci della base iniziavano ad accendersi. Le gru esterne del cantiere portuale, a muoversi. Sullo scafo dell’astronave ancorata all’hangar vicino, lo scintillio di una saldatrice indicava che, lì, qualcuno era già al lavoro.

Arrivò davanti al boccaporto. L’osservò con attenzione.

Perfetto. È un vecchio modello, questo lo apro a occhi chiusi.

Doveva solo prestare attenzione ai sensori, all’equipaggio sarebbe dovuto sembrare un piccolo guasto momentaneo, il contatto casuale di un sensore difettoso, come tanti altri doveva averne un’astronave come quella.

In ginocchio, prese la chiave universale, smontò l’alloggiamento del led di segnalazione e bypassò l’impulso del sensore di chiusura del portellone: all’interno sarebbe sembrato sigillato anche se fosse stato spalancato. Jack riassemblò tutto(J3) e cominciò a ruotare la maniglia di apertura. La luce si spense ma sapeva che in plancia sarebbe risultata accesa. Aprì, e guardò all’interno. Dava sull’intercapedine tra la chiglia e la parete interna della nave. Uno strato d’acciaio di quattro centimetri di spessore lo proteggeva dall’esterno, e una parete di metallo più sottile, ma con trenta centimetri di isolante, lo separava dall’interno: lì in mezzo sarebbe stato bene. Lanciò dentro le reti e ci si barricò.

Andrà tutto bene, vedrai.

Jack accese le luci del casco e illuminò l’antro nel quale si era appena rinchiuso. Largo poco più di un metro, si allungava verso il basso per circa il triplo. Ai lati, due pareti portanti di ferro meteorico grezzo andavano a delimitare uno spazio ristretto. Escludendo il portellone che dava verso l’interno della nave, tutto gli ricordava l’armadio di zia Elen dove si nascondeva da bambino. Digitò sul monitor che aveva sull’avambraccio. Aveva ossigeno ed energia per altre dodici ore, poi si sarebbe attaccato a una delle due bombole che aveva con lui. Cercò con lo sguardo una presa di manutenzione dove ricaricare le batterie della tuta e si ancorò con un moschettone a un gancio di supporto, lasciandosi galleggiare leggero. Chiuse gli occhi: ora non gli restava che attendere.

La mente lo portò ancora da zia Elen, ma anche da Vasily, da zio Chan, piuttosto che (9) a un’altra delle persone che lo avevano accudito negli anni. Era un vero peccato che non lo avessero fatto partire prima di allora, che ogni volta avessero trovato una scusa per farlo restare, che ora si trovasse costretto a tentare la fuga di nuovo. Si ricordò delle due settimane che aveva passato nelle vasche di riciclo l’ultima volta che lo avevano beccato. mentre scappava.(10)

Aveva diciott’anni ormai, e un sacco di domande che cercavano risposta.

«Sì, Jack, andrà tutto bene.» Ascoltò l’eco di quelle parole rimbalzare nella sua mente, sperando che questo sciogliesse quell’angoscia che continuava a rimbombargli nelle budella.

Stai facendo la cosa giusta.

Ora doveva solo aspettare che quel rottame si mettesse in viaggio, questa volta non l’avrebbero beccato(11).

 

(1)

Sai che questo, messo così, va un po’ in conflitto con ciò che sta facendo?
Se l’attracco è deserto, ha davvero tutto questo bisogno di appiattirsi?

Secondo me, si potrebbe girare la frase in modo che questa informazione non vada in contrasto, ma vada a coadiuvare.

(2)

Questa frase non mi convince molto, per come è messa. C’è quel verbo di percezione (sentendo) che appesantisce, perché crea molto distacco “raccontare” le percezioni sensoriali. Funzionano tranquillamente anche se lasci semplicemente la percezione stessa.

(James 1:)

Ho messo questo, altrimenti il fatto di essere in una tuta è un controsenso. Se lui deve uscire attraverso un camera d’equilibrio vuol dire che la base è pressurizzata. Così, invece, possiamo aumentare il senso di fretta: lo ha fatto per fare prima. 

(3)

Volendo, qui puoi sostituire con “afrore”, ma valuta tu.

(4)

Credo che la cosa migliore sia riformulare tutta la prima parte in modo che sia più fluido e ottimizzando/diluendo le informazioni contenute.

Questa è la mia proposta:

“Jack si appiattì alla parete consumata dell’attracco  di manutenzione undici e lanciò un’occhiata lungo il corridoio. Deserto. Come il resto del porto, alle cinque del mattino. «Andiamo, andiamo, andiamo!» Il portellone della camera d’equilibrio si stava aprendo verso l’interno con una lentezza estenuante. Prese un respiro carico d’impazienza; il profumo di menta dei nuovi filtri fece a cazzotti con l’odore acre di sudore.

«Al diavolo!» Appena ci fu lo spazio sufficiente, Jack tirò in dentro la pancia che non aveva, come se questo potesse farlo diventare più sottile nonostante la tuta in cui si era già chiuso, e vi si infilò di lato, strisciando con la schiena sullo stipite.”

Così, rendiamo la frase delle cinque del mattino una considerazione a cavallo fra il narratore e il personaggio.

Spostiamo la frase del respiro, in un momento in cui stiamo aspettando qualcosa che si protrae nella tempistica e creiamo una sorta di dilatazione nel tempo che va in contrapposizione con il suo atteggiamento concitato.

In più, spostiamo le informazioni legate alla tuta in una parte di testo in cui risultano più omogenee e naturali, perché legate proprio ad altre considerazioni simili.

(5)

Meglio mettere “tirò in dentro gli addominali”, così è chiaro che non abbia la pancia e, anzi, ci dice qualcosa della sua fisicità in maniera positiva, senza inserire il narratore invadente.

(6)

Ti ho messo un inciso perché si arriva un po’ affaticati alla fine del periodo. E evidenzia il focus sul movimento.

(James 2:)

L’ho aggiunta perché mi piaceva ma se non è funzionale o non ti piace toglila pure.

(7)

Ti ho messo “per ripartire” perché nella frase dopo hai un altro “prima” che non può essere sostituito, e così evitiamo una ripetizione che non ha senso di esistere.

(8)

Come abbiamo visto, gli accenni alla fuga reiterata sono molti per questo pezzo così piccolo. Questo potresti toglierlo, perché non aggiunge molto. Magari puoi lasciare quello successivo in cui parla della punizione in cui era incorso l’ultima volta che ci aveva provato. Almeno è contestualizzato ed è un pensiero causa-effetto.

(James 3:)

Sarebbe “l’alloggiamento del led di segnalazione” ma qualsiasi cosa mi venga in mente di scrivere sarebbe una ripetizione. Mi viene da lasciare tutto anche se capisco cosa vuoi dire.

(9)

Usato in questo modo è sbagliato. “Piuttosto che” non si usa con l’accezione di “o”.^_~

(10)

Leviamolo per evitare la ripetizione del concetto della fuga. Lo dici già nella frase precedente.^_~

(11)

Lo leverei perché ripeti lo stesso concetto almeno tre volte in pochissime righe. Lo stesso concetto che hai ripetuto già diverse volte lungo il brano. ^_~
È chiaro. Il lettore lo ha capito. La speranza/sicurezza di farcela è sufficiente a farci essere curiosi sulla sua sorte.

 

 

 

 

 
 
 
 
 

Adesso, abbiamo proprio l’ultimo leggerissimo passaggio, prima di vedere le due versioni a confronto e fare le ultime considerazioni finali su tutto il processo, per chiudere questo articolo:

(Siete degli eroi anche solo per essere arrivati fino a qui…)

 
 

Jack

Jack si appiattì alla parete consumata dell’attracco di manutenzione undici e lanciò un’occhiata lungo il corridoio. Deserto. Come il resto del porto, alle cinque del mattino. «Andiamo, andiamo, andiamo!» Il portellone della camera d’equilibrio si stava aprendo verso l’interno con una lentezza estenuante. Prese un respiro carico d’impazienza; il profumo di menta dei nuovi filtri fece a cazzotti con l’odore acre di sudore.(1)

«Al diavolo!» Appena ci fu lo spazio sufficiente, Jack tirò in dentro gli addominali(2), come se questo potesse farlo diventare più sottile nonostante la tuta in cui si era già chiuso, e vi si infilò di lato, strisciando con la schiena sullo stipite.

[…]

La mente lo portò ancora da zia Elen, ma anche da Vasily, da zio Chan, o da un’altra delle persone che lo avevano accudito negli anni. Era un vero peccato che non lo avessero fatto partire prima di allora, che ogni volta avessero trovato una scusa per farlo restare, che ora si trovasse costretto a tentare la fuga di nuovo. Si ricordò delle due settimane che aveva passato nelle vasche di riciclo l’ultima volta che lo avevano beccato.

[…]

(1)

Volendo, qui puoi sostituire con “afrore”, ma valuta tu.

(James:)

È un termine molto bello ma non mi appartiene, non so come dire… non lo avrei mai scritto.

(Risposta:)

Benissimo! ^_^ È giusto che tu tenga il termine che senti che ti appartenga di più.

(2)

Meglio mettere “tirò in dentro gli addominali”, così è chiaro che non abbia la pancia e, anzi, ci dice qualcosa della sua fisicità in maniera positiva, senza inserire il narratore invadente.

(James:)

Su questa cazzo di frase ci ho passato delle ore senza che mi venisse la soluzione. Questa è la soluzione.

(Risposta:)

Ehehheheh! Prego! Felice di essere stata utile.^_^

 

 

 

 

Ok. Adesso possiamo vedere le due versioni a confronto.

Ma lo faremo nella pagina successiva. Così abbiamo lo spazio per leggere e parlarne.

 

ISCRIVITI ALLA NOSTRA NEWSLETTER

Rimaniamo in contatto!
Ricevi in anticipo i nostri articoli e accedi ai contenuti esclusivi, dedicati e personalizzati di Redazione Coffa

Pagine: 1 2 3

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.