
MI FA TRE ETTI DI DIALOGUE TAG? AFFETTATO FINE, GRAZIE. (avevo detto fine, mapporc…)
Ok. Quanto pensate che siano stupidi i vostri lettori?
Uoh, uoh, uoh, calma! Prima di rispondere “nieeeeenteee” tutti in coro, rispondete a questo: e voi quanto siete stupidi quando leggete?
Avete risposto “nieeeeenteee”?
Ottimo!
Venite, vi porto al cinema con me: oggi vi spiego cosa sono i DIALOGUE TAG.
Mentre prendete i pop corn (mi raccomando, caramellati. Grazie), mi soffermo per dirvi che esiste un modo per far sì che voi, e i vostri lettori, impariate a leggere nella mente di ogni personaggio.
(In realtà sapete già farlo, ma vi faccio capire meglio cosa intendo, così magari ne prendete coscienza).
Il Dialogue Tag si usa nei dialoghi: non è altro che quella parolina (“disse A”, “chiese B”, “rispose C”, “ribadì D”, “insinuò E”) che si mette tendenzialmente alla fine di una battuta e che nasce per COMPLETARE la battuta stessa. Sì, l’ho scritto in maiuscolo per un motivo.
Perché “completare”? Perché dovrebbe fornire informazioni che la battuta stessa non dà, quindi serve come supporto al #dialogo, e ci aiuta a capire, di volta in volta, chi parla e come lo fa.
Al cinema è molto semplice, no?
L’attore parla: ha la propria voce, il proprio tono, il proprio accento, il proprio linguaggio verbale che lo contraddistingue dagli altri, e ha anche il proprio linguaggio fisico che si interseca con tutto il resto. Pensate a gesti come arricciarsi una ciocca di capelli quando si è nervosi o sovrappensiero, o sistemarsi gli occhiali sul naso, grattarsi il mento, alzare gli occhi in alto, sbuffare, gesticolare con le mani, mangiarsi le unghie, spostare il peso da un piede all’altro, abbassare gli occhi per non sostenere lo sguardo di ch… ehi, ma cosa c’è lì? Wow! Ho trovato due euro per terra!
«Prendi, compra anche gli M&M’s con le noccioline! No, non quelli, in quelli c’è il biscotto, quelli nella busta gialla! Via, non fare quella faccia, la coda non è così lunga… para le mani: lancio!»
Ok, ragazzi, mi fermo. Immagino che abbiate capito.
Logicamente fruire immagini direttamente in faccia è più semplice che doversele costruire nella testa da soli, e dar loro senso. Nessuno lo mette in dubbio.
Ma siete proprio sicuri che non sia possibile farlo anche quando si scrive?
Ovviamente lo è. Ma non nel modo che forse credete voi.
La maggior parte dei Dialogue Tag è “pressoché” INUTILE.
E come è possibile se ho appena detto che vanno a completare le battute dei dialoghi? Con cosa li completo i dialoghi allora?!
«Ce l’hai fatta finalmente! Senti, li hai tu i biglietti? Mi sembrava di averli messi nella tasca ma non ci sono… no, non quella. Quella interna della borsa. Ok, ok, guarda tu, dai. Sì, li tengo io i pop corn, controlla bene sennò non ci fanno entrare.»
Per dimostrare che ciò che dico è fattibile (lo sapete che fondamentalmente io sono una cialtrona), invoco in posizione di attacco Giuseppe Menconi.
Ditemi se avete capito cosa intende in queste poche righe tratte da “Sangue del mio sangue” della collana Vaporteppa:
[…]
Bevo un sorso di caffè. Mi scotta la lingua, e fa schifo, sembra di mandare giù una melma amara granulosa. «Dove li hai presi questi fondi di caffè?»
«Caffè di Wu ha fondi di prima qualità.»
«Già, è molto buono. Va giù che è una meraviglia.»
Io, quando l’ho letto, ho sorriso. So che voi magari non potete farlo per il mio stesso motivo.
Io l’ho fatto perché nelle 50 pagine che precedono questo momento, ho potuto vedere che tipo di persona è Evangeline (la protagonista che beve il caffè): ho visto come si comporta, COSA pensa di chi e COME lo pensa, come si muove all’interno del suo ambiente, a che tipo di cortesia è stata educata e tante altre cose…
Perciò, sono stata resa in grado di DECODIFICARE la sfumatura che dà all’inflessione della voce e di immaginare il sorriso che elargisce insieme alla bugia.
La chiamano TEORIA DELL’ICEBERG: ti do le informazioni che ti servono per comprendere la scena e magicamente il tuo cervello riuscirà a costruire buona parte di ciò che in realtà rimane sotto la superficie del non-detto. Questa è la fisarmonica di spazio che viene lasciata all’immaginazione del lettore, che rende un libro “speciale in maniera diversa” per ognuno di noi, e che lo differenzia da una mera sceneggiatura (senza nulla togliere alle sceneggiature, ovviamente).
Allora, siete stupidi? Avete capito come si è svolto il piccolo scambio di battute?
Sono certa che l’avete capito benissimo. Visto che non lo siete affatto. E ognuno di voi ha dato la propria inflessione a ognuna delle battute, perché siamo portati naturalmente a farlo. Lo facciamo anche quando riportiamo conversazioni che abbiamo avuto in altre circostanze, durante il nostro quotidiano (le portinaie e alcune sciure sono campionesse olimpioniche di “e lei mi ha detto…”).
Pensateci bene, vi sembra che manchi qualcosa?
No? Sì?
E così, invece?
[…]
Bevo un sorso di caffè. Mi scotta la lingua, e fa schifo, sembra di mandare giù una melma amara granulosa. «Dove li hai presi questi fondi di caffè?» chiedo.
«Caffè di Wu ha fondi di prima qualità» garantisce lui.
«Già, è molto buono. Va giù che è una meraviglia» mento spudoratamente.
Ora c’è qualcosa di troppo, non trovate?
Se prima avevate capito come fosse andata, di sicuro adesso, avrete notato qualcosa che non serve poi molto. Anzi, non vi sembra che qualcuno stia insinuando che in voi alberga della stupidità latente e che vi serva qualcuno che vi spieghi (perché non siete in grado di capirlo da voi) che Evangeline sta mentendo, e che probabilmente anche Wu lo sta facendo?
«Sala 14. A quest’ora non dovrebbe esserci molta confusione… Ehi, hai scelto tu di accompagnarmi, eh! E non cercare di sgattaiolare via a metà del film per intrufolarti a vedere “Cinquanta sfumature”, lo so che muori dalla v— Dove vai? È qui a sinistra…»
Togliendo quei Dialogue Tag, la dinamica resta invariata, quello che potrebbe cambiare è “l’accento” che si vuole dare a ognuna delle battute (ma abbiamo visto che esiste un modo efficace per mettere in grado il lettore di poter colmare da solo quel “gap”).
Chiaramente richiede un’accurata PROGETTAZIONE della storia, in modo che le informazioni necessarie fluiscano insieme alle parole.
Questo è un piccolo botta e risposta fra due persone ed è abbastanza semplice capire chi dice cosa, ma cosa succede quando abbiamo dialoghi più complessi, che coinvolgono più persone, magari più concitati oppure più delicati?
Vanno trattati in maniera diversa: togliere i Dialogue Tag con la famosa tecnica “a membro di canis familiaris” non è una soluzione.
Perché poi si innescherà la famigerata conversazione fra teste-parlanti che ci manderà ancora più in confusione. (Occhio che l’effetto testa-parlante si può avere anche con i Dialogue Tag, comunque…)
La parola chiave deve essere: CHIAREZZA.
Solo in questo modo sarò in grado di capire cosa sto leggendo, sarò in grado di immaginarlo e sarò capace di metterlo in scena aggiungendo tutto ciò che il mio cervello ritiene che debba starci.
Fate conto che siamo nei laboratori di Jurassic Park: lo scrittore con il camice bianco estrae dall’ambra il DNA frammentato del cazzuto T- Rex e il lettore è il DNA della rana che servirà per colmare le informazioni mancanti in quel filamento. Benvenuto, dinosauro omicida! Vai a sgranocchiare un po’ di gente a casaccio scorrazzando nel parco, visto che se lo merita.
«Uuuuh! Te l’avevo detto che non ci sarebbe stato nessuno. Forza, non perdere tempo con quella tenda, la pubblicità dura solo venti minuti, non voglio perdermi nemmeno un secondo del film! Mettiamoci lì, accanto a quel tizio con i pop corn, secondo me, da lì abbiamo una visuale ottimale».
Il Dialogue Tag non è l’unica cosa “utile” a completare le battute. Entrano in supporto i BEAT, che non sono altro che tutti quei gesti, e quegli atteggiamenti, che guardando un film ci impattano chiari e diretti le cornee, e in un libro no. Se non li mettessimo andrebbero persi, e non concorrerebbero a creare quell’atmosfera e quelle sfumature che riguardano i personaggi e che sono utili a dirci CHI e COME siano.
Non avrò bisogno di dire che “mento spudoratamente”, se è palese che lo stia facendo, proprio come non mi servirà un “chiedo” dopo un punto di domanda.
Il BEAT evidenzia il possessore della battuta, e la descrizione del movimento lega il personaggio a ciò che è per noi e per la storia.
Vi faccio vedere:
[…]
L’omone solleva il dito indice come a chiedere il permesso. «Può farmi due caffè?»
«Wu ve li fa subito.»
Mi alzo e getto la tazzina sulle altre, dentro al secchio dell’acqua vicino alla stufa. Frugo nel portamonete e metto un paio di quattrini sul tavolino.
«Era molto buono, Wu.»
Mi sorride, prende la tazzina e la sciacqua in una bacinella di acqua nera. L’asciuga con uno straccetto alla cintura. «Vieni quando vuoi al caffè di Wu.»
«Dovresti investire nel tuo carretto. Comprati mortaio e pestello.»
«Caffè di Wu può essere più buono di così?»
No, se ti piace l’orrido. «Hai ragione, Wu. Non può.»
(Vi è venuta voglia di caffè? Mi sa di no).
Il dialogo è uno strumento potentissimo e i Beat lo potenziano rendendolo anche dinamico. Identificano il parlante andando ad aggiungere riferimenti spaziali e visivi, così il personaggio si anima e le sue parole sono frutto di un’ “interpretazione attoriale”; è come se dessero tridimensionalità a ciò che è bidimensionale.
I dialogue tag vanno tolti proprio tutti tutti tutti?
Dipende dalle situazioni.
Tendenzialmente sarebbe d’uopo farlo. Non perché siete brutti e cattivi se non lo fate, ma perché sostituendoli con i Beat inserite un elemento qualitativamente migliore che assolve due compiti invece che uno.
«Smettila di mangiarti tutti i pop corn! Dài qui, sennò li avrai già spolverati tutti prima dell’inizio del film… ingordo.»
Dicevamo? Ah, sì.
Alcuni Dialogue Tag sono migliori di altri?
Beh, sì. Sono meno molesti, per così dire. Esistono delle situazioni in cui può essere molto difficoltoso sostituire con un Beat: vuoi perché non c’è la possibilità di percepire i movimenti del personaggio, vuoi perché la situazione è concitata, vuoi perché è fondamentale capire se il personaggio sta sussurrando e da ciò che sta dicendo non si capisce il tono di voce che sta utilizzando; i casi possono essere molteplici.
Non appesantiranno irrimediabilmente quello che state scrivendo, ma bisogna sceglierli con cura. Devono dare indicazioni UTILI (proprio come gli aggettivi) a capire la battuta a cui sono legati e assolvere il loro compito di “completatori” (sì, lo so che non esiste ‘sto termine…).
Ribadire ciò che dovrebbe trapelare da sé, non assolve altra funzione che annoiare.
Eh, vi sento già laggiù in fondo che borbottate: «ma così diventa un semplice copione!»
Eh, no. Katso.
Questo è un copione:
Procione (indignato): Ma come potete dire una cosa del genere dopo che vi ho fatto leggere lo spezzone?
Folla (inferocita): Al rogo! A morte! Ha detto: “mangiate brioches”!
Procione (stupefatto): Cos?!
Mi sono seduta accanto al tizio che era già presente in sala. Magari ha già visto il film tre volte.
Sarebbe carino, secondo voi, se non facesse altro per tutto il film che infastidirmi sottolineando ogni espressione, ogni movimento, ogni ammiccamento, ogni “cosa” che io vedo benissimo da sola?
Io non sono cieca e lui non è il mio accompagnatore. Se Evangeline sta mentendo lo capisco da sola, perché non sono stupida, e non lo siete nemmeno voi… e vi auguro che non lo siano nemmeno i vostri lettori, perché se li rispettate abbastanza da creare per loro contenuti stimolanti, nessuno li reputerà stupidi per aver comprato un brutto libro e per esserselo fatto piacere, magari.
«Tieni, vai. In fin dei conti i pop corn te li sei meritati… non imboscarti gli M&M’s però, eh.»
Ogni tecnica narrativa è uno strumento.
Uno scrittore, o un aspirante tale, deve padroneggiarli con dimestichezza, deve conoscerne pregi e difetti, e deve capire quando sia il caso di sacrificarli o meno. Meglio ancora deve essere in grado di utilizzare ogni strumento nel modo più efficace possibile per quello che è l’obiettivo che si è proposto. Pensateci.
Rileggete ciò che avete scritto. Siete sicuri che non esista un modo per potenziare ciò che volevate dire?
Io dico di sì…
«Shh, il film inizia. Da adesso in poi non si parla più.»
#DialogueTag
#Beat
#AmorteLeTesteParlanti
PS: Facciamo un gioco?
Riuscite a darmi tre aggettivi relativi alla me stessa che è andata al cinema e al mio accompagnatore?
Son curiosa.
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