UNA VIRGOLA, TRE SIGNIFICATI PER UNA FRASE
Se c’è una cosa che è sempre vera è che una virgola messa al punto giusto può fare una grande differenza. Sia quando si tratta di isolare un VOCATIVO, sia quando si tratta di disambiguare il significato di una frase.
Ma questa non è certo una novità, vero?
Sicuramente, alcuni di voi avranno in mente alcune frasi celebri che lo testimoniano.
Su due piedi mi viene in mente la considerazione di Julio Cortázar in merito, che sosteneva che una semplice virgola è capace di ribaltare il significato di ciò che s’intende. E che leggendo, se non è presente, la mente tende a metterla nel punto in cui le fa più comodo adagiarsi (o dove ha bisogno di respirare – e questo non è esattamente un buon modo per distribuirla…).
La virgola è la porta girevole del pensiero.
“Se l’uomo sapesse realmente il valore che ha la donna andrebbe a quattro zampe alla sua ricerca.”
Se sei donna, certamente metteresti la virgola dopo la parola “donna”; se sei uomo, la metteresti dopo la parola “ha”.
Non credo che ci sia molto da dire in merito, è già di per sé abbastanza esplicativa.
Infatti, una delle funzioni della punteggiatura, oltre ad aiutarci a gestire il ritmo della narrazione, la sua partitura e le sue intonazioni, è anche quella di aiutarci a scrivere in maniera ESATTA. E non intendo solo in maniera CORRETTA, ma proprio in maniera ESATTA.
E, se alcuni segni di punteggiatura hanno una valenza univoca e fissa, la virgola è più flessibile.
Non che non abbia le sue regole ferree – e guai a chi non le rispetta – ma tolte le sue applicazioni più rigide c’è un ampio margine di manovra e movimento.
Le virgole danzano sulle pagine.
Si muovono fra le parole con più libertà, anche se non illimitata, e per maneggiarle a dovere ci vuole una spiccata sensibilità. Non è un caso se persone come Leonardo G. Luccone ci hanno scritto un intero saggio sopra che vale la pena di leggere e che si intitola Questione di virgole. Punteggiare rapido e accorto.
Comunque, stavo leggendo Midnight sun di Stephenie Meyer (non giudicatemi, le saghe vanno finite), e ne ho colto un paio di spunti interessanti per degli articoli.
In particolar modo una frase, sul finale del libro, mi ha colpito in particolar modo e l’ho letta quattro o cinque volte.
La prima, con i peli ritti sulla schiena come un gremlin molto poco raccomandabile e con l’estetista in sciopero. La seconda, storcendo il naso. La terza, con un punto interrogativo sulla testa. Alla quarta mi si è accesa una lampadina e mi sono strofinata le mani…
La frase è questa:
Era così Bella, anche in momenti come quelli tutta la sua preoccupazione andava a qualcun altro.
Ok. Un po’ di contesto:
Il romanzo è la storia di Twilight in cui il vampiro Edward si innamora della ragazza umana Isabella (Bella, per gli amici. Nome sicuramente scelto non caso per creare un parallelo con La Bella e la Bestia; ma questa è un’altra storia, come diceva Michael Ende).
Solo che, a differenza di Twilight che è raccontato dal PUNTO DI VISTA di Bella e che ci guida attraverso ciò che lei prova e vive nel dipanarsi della sua storia d’amore, Midnight sun è vissuto dal punto di vista di Edward.
E chi mai vorrebbe sapere cosa passa per la testa di un vampiro che si innamora?
Praticamente tutto il pubblico della scrittrice. Visto che aspettava questo libro da quindici anni. (Ma anche questa è un’altra storia…)
(Tra l’altro, magari un giorno ne parliamo, se-riesco-a-trovare-il-tempo-che-non-ho-mai, perché l’autrice ha colto l’occasione per mettere a posto un sacco di pezzetti di puzzle vaganti che erano rimasti in sospeso e bighellonavano in giro con l’adesivo “SOSPENSIONE DELL’INCREDULITÀ KILLER” sulla schiena. Quindi, brava. Ma, ehi, anche questa è un’altra storia…)
Tornando alla nostra frase incriminata:
Era così Bella, anche in momenti come quelli tutta la sua preoccupazione andava a qualcun altro.
Il fatto che il nome del personaggio sia anche un aggettivo, nella nostra lingua, contribuisce a confondere ancora di più le acque.
La prima cosa che ho fatto quando l’ho letta è stata: «MAPPORKDH5KDJIHWEIFBIFZZO! Al correttore di bozze è sfuggita una virgola sul vocativo! Infamia! Disonore! Disonore su di te… disonore sulla tua mucca!» (Sì, lo so che non è davvero un VOCATIVO ma una DISLOCAZIONE, visto che non è riferito a un discorso diretto… ma è stata una reazione a caldo sulla lettura. Se volete capire cos’è una dislocazione di soggetto – e perché prevede la virgola fra SOGGETTO e VERBO – potete leggervi questo articolo.)
Infatti, una versione CORRETTA sarebbe tranquillamente potuta essere:
Era così, Bella, anche in momenti come quelli tutta la sua preoccupazione andava a qualcun altro.
Isolando il nome fra le virgole, si mette l’accento sul fatto che Bella è fatta così, e che non importa se sta nei guai fino al collo ma si preoccuperà sempre per gli altri. È una constatazione. Un dato di fatto. Si prende atto che LEI si comporta in quel modo perché è nella sua natura.
Certo, dopo “Bella” si sarebbero potuti mettere i DUE PUNTI a sottolineare il fatto che il resto della frase fosse la spiegazione di quello che si intendeva con la premessa “Era così”. Perché in un pensiero di quel tipo la domanda “così come?” sarebbe sempre aleggiata.
Quindi, anche:
Era così, Bella: anche in momenti come quelli tutta la sua preoccupazione andava a qualcun altro.
Sarebbe stata giusta.
Le due versioni sono simili e hanno intenti simili, ma non esattamente identici.
Ma si tratta davvero di sfumature. E la valutazione sulla scelta dei DUE PUNTI al posto della VIRGOLA è una questione di PUNTEGGIATURA STILISTICA.
Per questo, la presenza della virgola dopo “Bella”, ma soprattutto l’assenza di quella prima del suo nome (che comunque, se ve lo state chiedendo, in caso fosse stato un vocativo NON è MAI un’opzione, ma ci vuole PER FORZA), mi hanno indotto a leggerla di nuovo.
Allora ho pensato che fosse un altro tipo di refuso.
Avevano sbagliato a mettere il maiuscolo su “Bella” quando in realtà sarebbe stato necessario il minuscolo.
E, in effetti, anche scrivendo:
Era così bella, anche in momenti come quelli tutta la sua preoccupazione andava a qualcun altro.
In questo caso si sarebbe posto l’accento sul fatto che la preoccupazione che lei provava per gli altri la rendesse una creatura così pura e generosa da amplificare e mettere in evidenza la sua bellezza come persona. Sia esteriore che interiore.
Una chiave di lettura senza dubbio adeguata e credibile con il contesto della storia e della scena in sé.
Però anche questo avrebbe significato che qualcosa nella lavorazione del libro era andata storta.
Anche qui, il correttore di bozze aveva commesso un errore.
Aveva attribuito un valore diverso alla parola senza tenere conto del senso che la frase aveva.
Ho riletto di nuovo e, anche se non escludo che qualcosa sia davvero andato storto in fase di correzione e EDITING, ho trovato anche una nuova chiave di lettura.
Era così Bella, anche in momenti come quelli tutta la sua preoccupazione andava a qualcun altro.
E se l’autrice avesse voluto dire che “era così DA Bella” essere in quel modo? Cioè che quel modo di fare era talmente permeato nel suo modo di comportarsi che in quel momento lei era l’espressione più evidente di sé stessa?
Questo rimescolerebbe un po’ le carte in tavola e darebbe una sfumatura diversa. Un po’ come dire:
Era così Cannavacciuolo che mi ha dato una scoppola sulle spalle che non credo di poter dimenticare.
Era così Batman che non mi sarei stupito se avesse cominciato a chiamarmi Alfred.
Era così da Cenerentola; mancava solo la scarpetta e il dramma familiare…
Era così Bella che non avrebbe potuto essere altrimenti. Come avrebbe potuto non preoccuparsi degli altri anche se quella veramente inguaiata era lei?
Capito il senso?
Allora, a quel punto, si sarebbe potuta sostituire quella virgola con un PUNTO E VIRGOLA, o con i DUE PUNTI. Per marcare la pausa e rendere quel passaggio più esplicativo e chiaro.
Era così Bella; anche in momenti come quelli tutta la sua preoccupazione andava a qualcun altro.
o
Era così Bella: anche in momenti come quelli tutta la sua preoccupazione andava a qualcun altro.
Quelle pause in più, diverse fra loro, avrebbero aiutato a far indugiare la mente che leggeva un attimo ancora, per afferrare al meglio il senso prima di ottenere la spiegazione o la considerazione che seguiva.
Sì, si tratta di accortezze che rasentano la “cosmesi” del testo. Sono piccoli ritocchi, ma non sono privi di senso.
Allora ho messo il segno alla pagina e mi sono fatta un appunto mentale per scrivere queste poche righe, che poi sono diventate tre pagine di Word.
Per ricordare due cose:
- Quando una frase non fila liscia e sei costretto a rileggerla, qualcosa è andato storto. Che sia giusta o sbagliata non fa differenza, ma se è semplicemente sbagliata è più grave.
Il fatto che io abbia dovuto rimuginare sul fatto che fosse un errore o meno, di qualsivoglia genere, mi ha calciato via da quella scena. Mi ha sbattuta inevitabilmente fuori dalla storia (in quel momento), mentre io avrei dovuto rimanere ben incollata dentro a quella pagina, artigliata a quella scena, invece.
La mia mente ci è inciampata sopra, perché qualcosa le è suonato storto.
E sono sicura di non essere stata l’unica. Non datemi dalla cagacazzi, please. - Dietro alle parole ci sono significati stratificati, che vengono depositati un velo sopra all’altro e che ci portiamo dietro dal nostro bagaglio cognitivo.
La disposizione delle parole è fondamentale, e a maggior ragione la disposizione della PUNTEGGIATURA lo è. Perché di volta in volta è in grado di far emergere significati diversi – l’avete visto voi stessi in questi piccoli esempi.
E quindi deve essere scelta perché emerga proprio quello ESATTO che volevamo comunicare.
Perché non dobbiamo mai scordarci che la narrativa e la scrittura sono un mezzo di comunicazione binario. A due lati. Che crea un ponte fra due persone. Una che scrive e una che raccoglie le parole dalle pagine per leggerle.
Telepatia.
E il messaggio che spedisce l’autore deve arrivare nella testa del fruitore il più limpido e comprensibile possibile per non essere travisato.
Non avendo letto il testo in inglese, il dubbio sull’errore rimarrà un’incognita, ma ci ha permesso di prendere atto del fatto che la cura di un testo è fatta di tante piccole variabili.
E che buttare giù le parole come “si sentono” non è che una parte infinitesimale del processo. Perché quando si mettono le parole come si “vogliono”, be’, quella è tutta un’altra faccenda…
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