LA MINACCIA FANTASMA
Lo spauracchio delle REGOLE
Lo sentite il fuoco dell’Arte che brucia dentro di voi?
Siete sicuri che non sia la peperonata di ieri sera?!
Benone! Vediamo di fare un po’ di chiarezza, perché non posso far altro che constatare che sia latitante.
Cari Jedi, avete la sensazione che qualcuno non ve la stia contando giusta?
Lo sentite questo rantolio asmatico? È lui: non lo guardate troppo negli occhi, sennò son “uccelli per diabetici”.
Già vi sento: «Eccone un’altra che vuole salire in cattedra e dirci a cosa DOVER credere».
Nein! Anzi, prendo appunti pure io. ( Ehi, ma dove l’ho messa la penna?!)
Lo sapete cos’è la NUDGE THEORY?
Il NUDGE non è altro che un pungolo (no, non la spada di Frodo… accidenti a Sauron!); cioè una “spintarella”. È un concetto appartenente all’economia comportamentale e alla filosofia politica, che sostiene che piccoli rinforzi positivi e suggerimenti, o aiuti indiretti, possano concorrere a influenzare le scelte di gruppi e persone, con la stessa efficacia (se non maggiore) di istruzioni dirette, che spesso vengono percepite come una forzatura ingiusta.
Eh? Che ho detto?
Vi faccio un esempio più chiaro: un canestro sopra il cestino della spazzatura porterà a essere più inclini a buttare la cartaccia dentro, allo stesso modo un piccolo bersaglio dentro un orinatoio porterà a migliorare “la mira” e ad alleviare il carico di lavoro di chi fa le pulizie in bagno. Un altro esempio carino, che ho visto per far lasciare le mance in un bar, è esporre due barattolini differenti che mettono in competizione due serie televisive.
Capito il senso? Ti induco a fare “qualcosa” con uno spirito più sereno, quasi ludico. Tu hai la sensazione di beneficio, ma senza il giogo del si DEVE FARE COSÌ E BASTA.
Ma che rapporto ha questo con le persone? Come le induce concretamente a essere migliori in ciò che amano fare?
Ecco: qui c’è il trappolone.
Occhio ai piedi, camminate solo sulle mattonelle bianche, per piacere. Andiamo a cercare il nostro Maestro Yoda, che per l’occasione è Whoopi Goldberg (suvvia, non storcete il naso, eh! Costava troppo in termini di effetti speciali…).
L’avete mai visto Sister Act?
Sì che l’avete visto. Se non l’avete visto siete pregati di mettete il piede su quella mattonella nera là. Bravi. «Addio».
Suor Maria Claretta sa cantare; lo fa di mestiere. Entra nella stanza dove si allena il coro, che non è esattamente un coro che possa dirsi tale, e in qualche modo ne viene messa a capo, per gestirlo.
Il coro ha sicuramente delle potenzialità ma, nonostante la ferrea direzione di Suor Maria Lazzara, non è mai riuscito a ingranare. Come mai?
È incompetente? Non necessariamente.
La musica la conosce; anche lei sa cantare.
E allora in cos’è che sbaglia?
Semplice: non capisce quale sia il modo per valorizzare ogni singolo membro del coro, così da mettere a frutto le competenze di ciascuna e farle lavorare insieme.
Suor Maria Claretta fa un bel respiro e rimescola le carte in tavola. Toglie ciò che è troppo, aumenta ciò che è poco, accorpa ciò che è simile e dà una nuova impostazione al coro.
Poi chiede, in base alle nuove direttive date, di cantare una nota insieme.
Il miracolo.
(Ve lo ricordate? Guardatelo qui).
Com’è riuscita a farlo? Eppure non ha criticato nessuno. Non ha criticato la direzione di Suor Maria Lazzara, non ha criticato chi non sapeva dosare meglio la voce, non ha criticato chi non aveva il coraggio di usarne di più.
Ha messo il focus su ciò che c’era di positivo e ha indotto a usarlo come uno strumento, con utilizzo adeguato.
«Ma non basta cantare una nota insieme, qui c’è da lavorare». È la frase che viene dopo, e infatti le mette ad allenarsi sui fondamentali.
Imparati i fondamentali, mette su il coro e dirige il Salve Regina in una nuova chiave. ( Sappiamo tutti come…)
Come si applica questo alla scrittura?
È sufficiente conoscere la grammatica italiana? No.
E lo riscrivo: NO ( pure in maiuscolo, tiè).
Se la conoscenza dell’italiano ci serve a essere già intonati e con la nostra estensione vocale personale, tutt’altro conto è mettere a frutto questa nostra inclinazione naturale e potenziarla.
Vuol dire che diventerete tutti Aretha Franklin? No.
Ma non vuol dire nemmeno che vi renderà tutti Young Signorino.
Significa che ognuno di voi può aspirare al meglio di ciò che può essere. E non mi sembra che sia poco. Se riuscirete a combinare la vostra “luce” interiore e l’incanalerete nel modo giusto, ognuno di voi potrà manifestare la propria luminescenza individuale.
E come si fa?
Studiando.
Ehi, ehi, ehi! Fermi tutti! Che sono quelle facce?!
Lo sapevate che prima o poi avremmo trattato l’argomento, c’è scritto pure nel titolo…
Il Maestro Yoda tramuterà la vostra Forza in un’energia positiva. Con l’allenamento e seguendo i giusti principi, userete il vostro Potere per fare cose meravigliose.
Ma cosa succede al Potere senza il giusto controllo? Un danno.
Fai un passo indietro, asmatico psicopatico!
Le REGOLE sono uno spauracchio. Un pretesto con cui vogliono dirvi che vi ingabbieranno e butteranno via la chiave, che vi metteranno tutine orribili, vi raseranno i capelli e vi marchieranno un numero sul polso.
E questo fa paura. Perché, anche se fa caldo, ai nostri capelli ci teniamo, ma soprattutto non vogliamo essere tutti uguali agli altri. Noi abbiamo la nostra luce da far brillare: abbiamo qualcosa da dire che sentiamo di voler donare al mondo, altrimenti non ci metteremmo alla tastiera a scrivere. Giusto?
Ma lo sapete che la conoscenza è l’unica cosa che rende liberi davvero?
Sapere le cose vi rende capaci di distinguere chi vi sta dicendo una minchiata, e di considerarlo un mentecatto. A ragion veduta.
Ma dove le prendo le informazioni?
Non tutte le informazioni sono quelle giuste. Anche questo dovreste tenerlo a mente. C’è un motivo se qualcuno riesce a far funzionare il coro e altri no. L’EFFICACIA di ciò che vi proponete è la vostra cartina tornasole.
Qual è il vostro obiettivo?
Emozionare?
Intrattenere?
Far riflettere?
Insegnare?
Trasportare la gente in altri luoghi?
Cosa volete fare? Questa è la domanda a cui dovete rispondere; dovrebbe essere alla base di ognuno dei vostri fuochi interiori.
Le informazioni giuste sono quelle che vi spiegano i PRINCIPI da cui sono TRATTE le regole.
E dove si trovano? Nei MANUALI. (Lo so che siete stanchi di sentirvelo dire, ma è così).
Se volete abbeverarvi dalla fonte della conoscenza, tocca andarci di persona: nessuno vi sciropperà l’acqua direttamente dal rubinetto. Tocca alzare il culo, arrivare in cima alla montagna e leggere direttamente dalla fonte.
Non tutti i manuali sono uguali, però. Quelli che vi danno dei pacchetti preconfezionati di “si fa così”, generalmente non sono buoni manuali (Ehi, sto parlando con te, Zio Steve), ma se siete curiosi, di sicuro non vi faranno così male, magari ci trovate degli spunti che possano implementare il vostro modo di lavorare su un testo.
Fare la conta degli avverbi, delle virgole e applicare a pappagallo ogni regola non vi renderà degli scrittori. Vi renderà delle scimmie ammaestrate.
La saggistica che è a supporto della narrativa e della letteratura parla del PERCHÉ alcune cose sono più efficaci di altre per ottenere un dato effetto.
Per “dato effetto” intendo una narrazione coinvolgente che sappia connettervi con una storia emozionante, intrecciata e portatrice di un messaggio profondo che si evince fra le righe.
Ma da dove vengono le REGOLE?
Quale cazzo di fanatico cinefilo snob e bohémien se le è inventate per dare sfoggio della sua finta intellettualità e percuotere le gonadi agli scrittori presunti e presenti?
Reggetevi forte: ARISTOTELE.
Se state cercando di ricordare se è il nome d’arte di un cantante di musica Trap, la risposta è: a-dir-la-verità-può-darsi, ma intendevo davvero il filosofo.
La messa in scena delle storie si è evoluta al servizio della Retorica (l’arte di persuadere attraverso le parole): da lui ci arriva la struttura in atti della maggior parte delle storie e sulla quale è costruito l’arco di trasformazione del personaggio; in più, da lui arriva anche la consapevolezza che mettere in scena un monologo fosse meno efficace (per lo spettatore) di metterci più personaggi che “recitassero” il proprio ruolo all’interno del contesto.
Perché ci importa?
Perché, quando scriviamo, noi vogliamo convincere davvero che Peppino sia andato al centro della Terra e ci abbia trovato il miglior kebabbaro della sua vita, e che il viaggio faticoso ne sia valso la pena.
Se siamo coscienti che vogliamo persuadere il lettore a rendere reali (nella sua testa ed emotivamente) le vicende di una storia, questo è un passaggio che non possiamo saltare.
«Vi sta fregando, questo non ha niente di scientifico e attinente con la libertà creativa di oggi!»
Ehi! Ma la volete finire di ascoltare quell’obbrobrio con lo scolapasta in testa?!
È vero: Aristotele non basta.
Lui ha gettato le basi (come ogni greco antico che si rispetti), ma i veri progressi evolutivi sulla letteratura li abbiamo avuti con la nascita del romanzo vero e proprio. Purtroppo per lui è nato in un periodo in cui la Chiesa teneva un po’ al guinzaglio le cose troppo emozionanti e peccaminose, e capite bene che qualsiasi cosa dovesse avere un po’ il disclaimer del “il tuo sacerdote approva questa lettura sennò son katsi”. (La leggenda che bruciassero i libri non è una leggenda…)
Leggermente diverso dal clima del pensiero greco, no? Ma questa è un’altra faccenda.
Furono i “rivoluzionari” come Flaubert, Joyce, Ford, Fitzgerald e compagnia bella che si misero realmente ad analizzare ciò che scrivevano. Quali aggettivi servissero, quando e come fosse utile (se fosse utile) l’intromissione del narratore nello spiegarci la storia che stavamo leggendo, se fosse giusto per la comprensione dei significati della storia seguire l’ordine cronologico dei fatti o inserire dei flashback che ci dessero degli scorci sul passato del vissuto dei personaggi, e via dicendo…
Sarebbe veramente lungo inserire tutte le sfaccettature al riguardo in un post singolo, ma vi basti sapere che non si sono fermati lì e che nei manuali seri queste cose ci son scritte.
Anche loro hanno contribuito a sgrossare e affinare molti effetti retorici, ed è stato propedeutico per capire come funziona il cervello quando si legge. Sono stati fatti studi per monitorare i NEURONI SPECCHIO sottoposti alla lettura.
I neuroni specchio non sono quelli a cui piace rimirarsi per replicare i tutorial di make-up, ma sono quei neuroni che ci permettono di “imparare attraverso ciò che vediamo”. Ci permettono di emulare, e ricreano nella testa ciò che percepiamo con gli occhi. La cosa interessante è che, nel caso di un libro, ricreano anche partendo da parole scritte, se sono mirate a farci “vedere” qualcosa.
Lo sapete che un cervello attivo consuma un sacco di calorie?
Mettete in moto il cervello! Se non volete farlo per fini più aulici, almeno fatelo per coadiuvare la prova costume!
Lo so che siete convinti che l’arte e la scienza esatta non abbiano molto a che spartire, ma che dire della musica, che è proprio l’apoteosi dell’arte scientifica?
Nessuno di voi vuole insinuare che la musica non sia un’arte esatta, vero?
La musica è espressione pura della matematica, per questo Platone metteva il suo bollino di garanzia (Plato Approved!): era l’unica forma di arte, secondo lui, che non fosse posticcia e un inganno imitativo della realtà.
No matematica = no musica.
No Salieri. No Mozart. No Freddie Mercury. No Metallica. No Donna Summer. No Young Signorino (neanche la matematica è sempre al servizio del bene…).
Comunque, essere schiavi di “qualcosa”, non vi darà mai la possibilità di essere “qualcuno” (inteso come individuo conscio, non come personaggio noto). E lo so che questo lo capite benissimo e che è proprio questo che vi rende così restii riguardo a questa faccenda dello studio della retorica della narrativa.
Ma capire il principio vi pone in mano gli strumenti per lavorare sulle regole.
Come sgorbie nelle vostre mani, sceglierete di volta in volta quella più giusta per cavare fuori dal legno la statua che avete in testa. Una statua che vive solo nella vostra testa e che verrà fuori in modo differente per ognuno, perché è la mano che muove le sgorbie a essere importante, non le sgorbie stesse e basta.
Chi vi consiglia di leggere quei manuali non lo fa per darvi degli ignoranti, o per farvi presente che siete inferiori. Lo fa per darvi la possibilità di essere LIBERI di scegliere. Di evolvervi.
Chi vi dice una realtà parziale vi mente: “Vanno tolti gli avverbi” non è una regola, è un’imposizione che non spiega niente.
Invece, sapere che è UNO DEI MODI in cui si mette in pratica un principio, è un’altra. Limitare il numero degli avverbi in “-mente” non è solo un capriccio che appiattisce un testo, è un invito a scegliere con cura le parole che usate, perché se scegliete il termine giusto, quasi certamente non avrà bisogno di essere “potenziato” con l’avverbio che lo segue. È un invito a essere consci che esistono parole più adatte e con un maggior impatto sul vostro cervello e su quello di chi legge.
“Correre velocemente” ha una valenza più anonima, ma “scapicollarsi”, “precipitarsi”, “sfrecciare”, “scattare”, “affannarsi”, o chi-più-ne-ha-più-ne-metta hanno sapori diversi. Quegli stessi sapori che quando mangiamo un boccone di una pietanza ci fanno dire: «Mmmh! La menta, con queste zucchine, ci sta proprio bene e dà un tocco di freschezza».
Perché volete rinunciare alla vostra unicità?
Perché credete che essere poco informati vi renda più consapevoli?
È la conoscenza che può farlo. Solo quella.
Gli editor che mettono mano ai vostri romanzi hanno studiato questi principi. Quelli competenti, intendo.
Se li conosceste anche voi il rapporto professionale con loro sarebbe molto diverso. Non esisterebbero frasi del tipo: «Il mio editor non capisce la mia arte, è solo un sadico a cui piace amputare il mio lavoro».
L’editor è una mente fresca che legge la vostra storia, ne carpisce il senso e ne coglie i punti forti e quelli deboli. Avere le sue stesse conoscenze vi porta ad avere un occhio clinico come il suo, a riconoscere chi DAVVERO si merita i vostri soldi da chi no e, soprattutto, porta il vostro lavoro di collaborazione a un livello più alto e profondo.
Se il vostro editor vi contesta che il Turning Point è troppo repentino, o che non avete costruito bene l’empatia per il personaggio, voi DOVETE sapere cosa intende per capire come intervenire sul vostro romanzo. Sennò rischiate di andare a tentoni, provando e riprovando, con l’unico risultato della frustrazione personale.
Ma se scrivo seguendo tutte le regole, allora divento bravo per forza?
Non ho detto questo.
Fare un compitino, imparando a scrivere come un automa vuoto, non vi darà nient’altro che qualcosa di corretto nella forma ma carente nella sostanza.
Gli strumenti hanno un fine superiore. Non sono le sgorbie a modellare lo scultore, MAI. È SEMPRE lo scultore quello che ne ha il controllo.
Vanno usate con un obiettivo specifico. E quell’obiettivo… «è conquistare la Galassia!».
Ehi! Chi ha dato il microfono all’asmatico?! Toglieteglielo subito.
L’obiettivo è capire qual è la vostra vera voce, o cosa rappresenta la luce dentro di voi.
Non abbiate paura della conoscenza. È l’unica Forza al vostro servizio.
Il Maestro Yoda approva, e pure Whoopi Goldberg.
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